Carissimi,
“Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti” (Lc 16, 31). Abramo o del disincanto. Stamattina, ci dicevamo che la parabola del povero Lazzaro e del ricco egoista, che la liturgia ci ha proposto oggi, è, con quella del Figlio prodigo e l’altra del buon Samaritano, tra quelle che tutti ricordano. Dunque, non c’è proprio speranza che i ricchi cambino? E i ricchi, ahinoi, non sono sempre solo né necessariamente gli altri. Sarebbe troppo comodo! Eppure Gesù, solo poche righe prima, in questo stesso Vangelo di Luca, aveva ammonito: “Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne” (Lc 16, 9). Qualche speranza, dunque, in cuor suo, doveva pure nutrirla. Beh, noi, sappiamo, che, in seguito, Abramo, avrebbe cambiato idea e posto così le condizioni per un finale diverso della parabola. Nel senso che Lazzaro (il cui nome significa “Dio-aiuta” ed è così simile al nome di Gesù “Dio-salva”!), dev’essere stato proprio lui a vincere lo scetticismo di Abramo, e a farsi mandare, risorto dai morti, ai cinque fratelli del ricco. Con che risultati, dovremmo essere noi a dirlo, prima degli altri, a partire da noi stessi. Come abbiamo cambiato il pezzo di mondo che ci circonda? Riusciamo a vedere i Lazzaro (ce n’è sempre qualcuno più Lazzaro di noi), che stanno alla porta della nostra casa, della nostra patria, della nostra chiesa? E sono coloro che, sì, hanno bisogno di noi, ma anche, paradossalmente, coloro che ci salvano. Ora, mettiamola così: la parabola è solo un brutto sogno, un incubo che speriamo perseguiti, quando necessario, noi e ogni ricco e tutti coloro che, anche solo con la loro indifferenza (del ricco della parabola non si dice che fosse cattivo, forse andava pure in chiesa tutte le domeniche. Ma non si è accorto di Lazzaro), quanti, dunque, appoggiano e si riconoscono in questo sistema di morte, che crea la miseria e gli impoveriti del mondo e delegano i loro parlamenti ed eserciti e polizie a tenerglieli per quanto possibile lontani dagli occhi. E, se non bastasse questo, finanziano e comprano prodotti televisivi (e non solo) perché ci rimbecilliscano tutti, adeguatamente, creandoci così un impossibile alibi se non davanti a Dio (al quale si crede e non si crede), almeno alla nostra coscienza, che nonostante gli sforzi, non si stacca da noi. Un brutto sogno, insomma, da cui ci si possa svegliare e chiederci: perché non cambiare? E decidere di conseguenza.
Oggi facciamo memoria di San Romero d’America, vescovo e martire in El Salvador, e di Paul-Iréné Couturier, testimone di ecumenismo.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Geremia, cap.17, 5-10; Salmo 1; Vangelo di Luca, cap.16, 19-31.
La preghiera del Giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.
Noi ci si congeda qui con un brano del discorso che Mons. Oscar Arnulfo Romero tenne, ricevendo il dottorato honoris causa, all’Università di Lovanio, il 2 febbraio 1980, 50 giorni prima di essere assassinato. È considerato così come il suo testamento teologico e politico, che ci trasmette l’essenza della sua lettura del Vangelo e della sua vita di fede. Ed è, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
L’attuazione della nostra Chiesa è partita chiaramente da una convinzione di fede. La trascendenza del Vangelo ci ha guidato nel nostro giudizio e nella nostra attuazione. A partire dalla fede abbiamo giudicato le situazioni sociali e politiche. D’altra parte è anche vero che, proprio in questo processo, che ci ha portati a prendere posizione di fronte alla realtà socio-politica quale essa è, la stessa fede è andata approfondendosi, lo stesso Vangelo è andato mostrando la propria ricchezza. […] Adesso sappiamo meglio che cos’è il peccato. Sappiamo che l’offesa recata a Dio è la morte dell’uomo. Sappiamo che il peccato è veramente mortale; e non solo per la morte interiore di chi lo commette, ma per la morte reale e oggettiva che produce. Ricordiamo, in tal modo, il dato profondo della nostra fede cristiana. Peccato è ciò che procurò la morte al Figlio di Dio, e peccato continua ad essere ciò che procura la morte ai figli di Dio. Questa fondamentale verità della fede cristiana la vediamo quotidianamente nelle situazioni del nostro paese. Non si può offendere Dio senza offendere il fratello. E la peggiore offesa a Dio, il peggiore dei secolarismi è, come ha detto uno dei nostri teologi, “il trasformare i figli di Dio, i templi dello Spirito Santo, il corpo storico di Cristo, in vittime dell’oppressione e dell’ingiustizia, in schiavi di appetiti economici, in scarti della repressione politica; il peggiore dei secolarismi è la negazione della grazia attraverso il peccato, è l’oggettivazione di questo mondo come presenza operante delle potenze del male, come presenza visibile della negazione di Dio” (p. I. Ellacuria). […] Perciò abbiamo denunciato l’idolatrizzazione che, nel nostro paese, si fa della ricchezza, della proprietà privata assolutizzata nel sistema capitalista, del potere politico nei regimi di sicurezza nazionale, in nome dei quali si istituzionalizza l’insicurezza degli individui (IV Lettera pastorale, nn. 43-48). (Mons. Oscar A. Romero, La dimensión política de la fe desde la opción por los pobres. Una experiencia eclesial en El Salvador, Centroamérica).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.