Carissimi,
“Ma voi non fatevi chiamare ‘rabbì’, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate ‘padre’ nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare ‘guide’, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo” (Mt 23, 8-10). La comunità di Matteo doveva essere davvero preoccupata dagli atteggiamenti che stavano prendendo piede in essa, se si è sentita in dovere di richiamare questi ammonimenti di Gesù. E, forse, dovremmo esserlo un po’ anche noi. Già, che tipo di chiesa siamo noi? Chi chiamiamo e consideriamo nostro maestro, padre, guida? O anche: siamo chiesa che evangelizza nella fraternità e nel servizio, o istituzione ricalcata sulla falsariga dei poteri del mondo che dispensa un sapere negato dal suo fare (“dicono ma non fanno”)? Se Gesù si dice (o lo confessa comunque tale la Comunità di Matteo) il solo maestro e l’unica guida, è perché ha la piena consapevolezza di essere in mezzo ai suoi “come colui che serve” (Lc 22, 27). E lo si può riconoscere a vista. Noi non sappiamo lì da voi, ma qui da noi si moltiplicano, un po’ in tutte le chiese, scuole e corsi di liderança, di leadership. Non avendole mai frequentate, non ne conosciamo materie e contenuti. Però sogneremmo che avessero come programma questo: “Leggere e rileggere incessantemente il santo Vangelo per avere sempre dinanzi alla mente gli atti, le parole, i pensieri di Gesù, al fine di pensare, parlare, agire come Gesù, di seguire gli esempi e gli insegnamenti di Gesù e non gli esempi e i modi di fare del mondo, nel quale ricadiamo così alla svelta appena stacchiamo gli occhi dal divino modello. Ecco il rimedio secondo me. L’applicazione è difficile, perché coinvolge cose fondamentali, la realtà interiore dell’anima. Ma la difficoltà non deve fermarci: più essa è grande, più dobbiamo metterci con sollecitudine all’opera e impegnarci in essa con tutte le forze. Dio aiuta sempre coloro che lo servono”. Lo scriveva Charles de Foucauld a don Huvelin, suo direttore spirituale.
Oggi, il calendario ci porta la memoria del gesuita Luis Espinal Camps, martire in Bolivia.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Isaia, cap. 1,10.16-20; Salmo 50; Vangelo di Matteo, cap. 23,1-12.
La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.
Qualche anno fa, come oggi, una nostra amica, di cui non vi faremo il nome, né vi diremo di dov’è, tanto lo sa lei e Lui, ha come si dice, voltato pagina. E ci è venuto in mente di scriverle così: “Quel giorno che Lui t’ha detto: / ‘Con me via dal Libano sposa / con me via dal Libano vieni / guarda dalla cima dell’Amanah / dalla cima del Senir e dell’Hermon / dalle tane dei leoni e dai monti dei leopardi. // Mi hai incantato sorella mia sposa / mi hai incantato con uno solo dei tuoi occhi / con una sola delle pietre del tuo collo’ (Ct 4, 8-9). // Quel giorno, tu gli hai creduto / e l’hai seguito per giardini e deserti / e deserti e giardini. / Forse più quelli che questi. / Ma, forte del Suo sguardo / che sentivi su di te. / Ed è quanto basta. // Auguri, principessa!”. Oggi è l’undicesimo compleanno di Vitor, figlio di Aparecida, figlia di dona Dominga. La comunità gli ha regalato un paio di scarpe, come a dirgli: Ne farai di strada nella vita, ragazzino! Ci hanno scritto che domani, p. Marcelo Barros sarà sottoposto a una piccola chirurgia al cuore, e che irmã Ione Buyst, la liturgista belga che ha abitato qui da noi per molti anni, sta affrontando problemi seri di salute. Noi mettiamo tutti nella vostra preghiera.
E, per il resto, ci si congeda qui, lasciandovi a una delle “Oraciones a quemarropa”, qualcosa come “Preghiere e bruciapelo” di Luis Espinal, dal titolo “Non abituarsi”. Sì, promesso! È questa, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Abbiamo il vizio di abituarci a tutto. Non ci indignano più le bidonville; né la schiavitù dei raccoglitori di caucciù; né fa più notizia l’apartheid, né i milioni di morti di fame, ad ogni anno. / Ci abituiamo, limiamo gli spigoli della realtà, per non ferirci, e la inghiottiamo tranquillamente. / Ci disintegriamo. Non è solo il tempo che ci scorre via, è la qualità stessa delle cose che arrugginisce. Ciò che è più esplosivo diventa routine e conformismo; la contraddizione della croce è ormai soltanto un ornamento su una scollatura mondana, o sul giubbotto di un Hitler. / Signore, abbiamo l’abitudine di abituarci a tutto; anche ciò che vi è di più doloroso finisce per ossidarcisi. / Vorremmo vedere sempre le cose per la prima volta; vorremmo una sensibilità non cauterizzata, per meravigliarci e ribellarci. / Facci superare la malattia del tradizionalismo, cioè, la mania di mettere il nuovo nei vecchi paradigmi. Liberaci dalla paura dello sconosciuto. / Il mondo non può andare avanti nonostante i tuoi figli, ma grazie a loro. Spingili. /Gesù, dacci una spiritualità di iniziativa, di rischio, che abbia bisogno di revisione e di neologismi. / Non vogliamo vedere le cose solo dal di dentro, abbiamo bisogno di avere un amico eretico o comunista. / Per essere anticonformisti come te, che fosti crocifisso dai conservatori dell’ordine e della routine. / Insegnaci a ricordare che Tu, Gesù Cristo, hai sempre rotto le coordinate del prevedibile. E soprattutto, fa che non ci abituiamo a vedere le ingiustizie, senza che divampi in noi l’ira e la volontà di agire. (Luis Espinal Camps, No acostumbrarse).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.