Carissimi,
“In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi” (Gv 8, 34-37). Curiosamente questo brano di Vangelo si apre con la notazione che Gesù disse queste cose “ai giudei che avevano creduto in lui” (v.31). Che sia stata o meno una svista del redattore finale, noi la prendiamo così com’è e ne facciamo, a maggior ragione, una parola rivolta a noi, che diciamo di credere in Lui. Se Gesù è il Figlio di Dio, cioè la Sua Parola che si fa presente nella storia umana, chi parla qui è la Parola di Dio, pronta, a nostro beneficio, a prenderci in castagna. Ricordandoci alcune cose, valide per noi come per i contemporanei di Gesù e per la comunità di Giovanni alla fine del primo secolo. Essere liberi è non essere schiavi del peccato, sottrarsi quindi alla logica del mondo, del potere. È la fedeltà alla Parola di Dio che ci rende davvero liberi e ci ci fa abitare come figli nella casa del Padre. Se invece siamo succubi del sistema, è pura illusione credere e rivendicare di essere figli di Dio. Siamo semplicemente altro. Gesù potrebbe dire a noi: “So che siete cristiani. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi”. Che, detto così, è per noi molto più scomodo della polemica messa in scena da Giovanni tra Gesù e quel gruppo di giudei contemporanei suoi o dell’evangelista. Alla fine, comunque, come ci dicevamo stamattina, commentando questo Vangelo, si potrà trovare tra gli ebrei, come tra i seguaci di altre religioni, o di nessuna religione, chi avrà accolto e fatta sua la Parola significata da Gesù, pur senza riconoscere questi come figlio di Dio, ed anche, tra quanti si dicono cristiani, chi, invece, avrà ucciso la Parola di Dio (cioè Gesù), rifiutandosi di porla in pratica. Facendo anzi il suo esatto contrario. Noi ci si immagina il riso amaro del buon Dio sulle tante malefatte delle cosiddette civiltà cristiane. E dei loro poteri. Sedicenti cristiani, anzi, cristianissimi. Persino lì, nei vostri paraggi. In tempi anche recenti e magari prossimi futuri. E, comunque, noi come siamo messi in proposito?
Oggi facciamo memoria di San Romero d’America, vescovo e martire in El Salvador, e di Paul-Iréné Couturier, testimone di ecumenismo.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Daniele, cap.3, 14-20. 91-92. 95; Salmo (Dn 3, 52-56; Vangelo di Giovanni, cap.8, 31-42.
La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti ricercano l’Assoluto della loro vita nella testimonianza per la pace, la fraternità e la giustizia.
Noi, San Romero d’America, l’abbiamo celebrato, stasera, con un’Eucaristia, presieduta dal nostro Vescovo, dom Eugênio, nella chiesetta dell’Aeroporto. E non c’era mai stata tanta gente! Abbiamo ricordato come in tutto il mondo, comunità cattoliche, ma anche anglicane, luterane e di altre confessioni cristiane, facciano ormai memoria del suo martirio ed insieme del suo magistero, che rappresentano una delle pagine più gloriose della storia della chiesa del nostro tempo. Possa l’esempio di Romero contagiare noi e i nostri vescovi, affinché possiamo, per dirla con le parole di dom Pedro Casaldáliga, “vivere una spiritualità integrale, una santità tanto mistica come politica, nella vita quotidiana e nei processi maggiori della giustizia e della pace, ‘con i poveri della terra’, in famiglia, per strada, al lavoro, nei movimenti popolari e nella pastorale incarnata”.
Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura il passaggio conclusivo del discorso pronunciato da Mons. Romero, in occasione del conferimento della Laurea Honoris Causa, conferitagli dall’Università di Lovanio, il 2 febbraio 1980. Lo troviamo nel sito del Sicsal Italia. Ed è, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
A seconda dell’atteggiamento che assume nei confronti del mondo dei poveri, nei confronti del popolo povero, la Chiesa, pur a partire dalla propria specificità, finisce col sostenere o l’uno o l’altro progetto politico. Crediamo che questo sia il modo col quale conservare l’identità e la stessa trascendenza della Chiesa. Inserirci nel concreto processo socio-politico del nostro popolo, giudicarlo a partire dal popolo povero, e promuovere tutti i movimenti di liberazione che conducano realmente a che le maggioranze godano della giustizia e della pace. E crediamo che questo sia il modo col quale conservare la trascendenza e l’identità della Chiesa, perché è in questo modo che conserviamo la fede in Dio. I cristiani del tempo antico dicevano: “Gloria Dei, vivens homo” (“La gloria di Dio è l’uomo vivente”). Noi potremmo riformulare in termini più concreti questo concetto, affermando: “Gloria Dei vivens pauper” (“La gloria di Dio è il povero che vive”). Crediamo che, a partire dalla trascendenza del Vangelo, noi possiamo giudicare in che cosa consista veramente la vita dei poveri, e crediamo pure che, mettendoci dalla parte del povero e cercando dì dargli vita, giungeremo a sapere in che cosa davvero consiste l’eterna verità del Vangelo. (Mons. Oscar Romero, Discorso in occasione del conferimento della Laurea Honoris Causa, conferitagli dall’Università di Lovanio il 2 febbraio 1980).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.