Carissimi,
“In verità vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande” (Mt 8, 10). Gesù lo stava dicendo di un pagano. Di un esercito nemico, per giunta. Un po’ come se oggi, un rabbino israeliano lo dicesse di un militare siriano, o palestinese, o, addirittura di un militante di Hamas. E suonerebbe come una bestemmia. Ora, il dialogo tra i due verteva proprio su ciò che significa la fede. Senza che nessuno dei due si sentisse obbligato, non si sa bene in forza di che, a negare, o a mettere tra parentesi la sua propria. Ma, quel che è stupefacente, è che Gesù, si riconosce nella fede di quel pagano che, evidentemente non sapeva nulla del Dio dei padri di Israele (che, tra parentesi, era il Babbo di Gesù), né tanto meno, sospettava di trovarsi di fronte alla seconda persona di una qualche sconosciuta Trinità. È un po’ come se tra i due, si fosse snodato un dialogo del tipo: Ti succede questo, d’accordo, ma tu, cosa ti aspetti da me? O, anche: qual è il tuo desiderio più grande? Che, poi, era una maniera diversa di dire: in cosa consiste la tua fede? cos’è per te Dio? Qual è l’atteggiamento che qui ed ora lo definirebbe meglio e che distinguerebbe chi intende rappresentarlo? E la risposta del pagano era scaturita sicura e spontanea, neanche fosse stato a catechismo in qualche parrocchia della regione. Dio? Dio è chi dà la vita e ci libera da ogni male. E rappresentante di Dio è chi lo fa. Tutto qui? Tutto qui. Questo è il massimo della fede, dice Gesù. Quanto basta per sedere alla mensa della Verità. Il resto, il resto, per carità, sarà anche bello, ma è solo “enfeite”, come si dice qui, ornamento. Il dialogo tra Gesù e il centurione ci insegna come superare le troppo facili etichette, come scavare sotto i simboli, che a volte dividono, e rintracciare verità comuni, inevitabili se crediamo per davvero che Dio, creando l’uomo (il genere umano prima di ogni differenziazione e determinazione), gli soffiò dentro il suo Spirito. Che vorrà pur dire qualcosa di più che la semplice vita. È il dna divino che ci fa tutti, egualmente, somiglianti a Papà. Anche quando non sappiamo di essergli figli. Con quel naso, quella bocca, quegli occhi, o quel suo geniaccio, chi non lo riconoscerebbe? Altro che scontro di civiltà, arroccamenti e cittadelle chiuse per salvare improbabili purezze razziali e religiose. Nel tentativo di sequestrare e monopolizzare un Dio nel quale non si crede più, ma che lo facciamo servire per salvaguardare il nostro potere, che è il nostro dio più vero. Finché dura. Finché Lui non ci scrollerà di dosso come fastidiosi pidocchi. Per ritrovarci subito dopo come figli. Discoli, ma sempre figli. Bisognosi d’aiuto.
La nostra comunità fa oggi memoria di Charles de Foucauld, fratello universale.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Isaia, cap.2, 1-5; Salmo 122; Vangelo di Matteo, cap. 8, 5-1.
La preghiera di questo lunedì è in comunione con le grandi religioni dell’India: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.
Oggi è la Giornata mondiale di lotta contro l’Aids e di solidarietà con i portatori di Hiv. Nella preghiera di stamattina abbiamo ricordato amici, amiche e conoscenti che vivono questa esperienza. Ed è pensando a loro che, nel congedarci, vi proponiamo il brano di una lettera che Chiara Castellani, una splendida figura di medico, che presta la sua opera a servizio della vita, a Kimbau, nella Repubblica democratica del Congo. Ha per titolo “Dedicato a un malato di AIDS che reclama il suo diritto alla vita e a rendere la sua vita utile agli altri”. In cui, a pensarci bene, si riassume la fede del centurione. L’abbiamo trovata nel sito: http://www.kimbau.org/ ed è per oggi il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Dio aiuta sempre coloro che si spendono per il bene degli altri, per questo ti ha dato “lei” [la malattia] come maestra e tanti compagni di viaggio. Da quando invece di fuggirla hai accettato di conoscerla meglio, è sparita quella sensazione di paura che ricolmava la tua vita di negatività e pessimismo. Hai recuperato la tua autostima e, di conseguenza, amando te stesso hai potuto amare meglio il prossimo. Il tuo cuore ha iniziato ad aprirsi sempre di più e l’amore ti ha aiutato a vincere la paura. E’ stata “lei” a farti capire il tuo grande compito di amore su questa terra, la tua grande missione di far apprendere a chi ancora vive con rigetto l’intrusione di “lei” nella propria vita. Certo “lei” è un’intrusa, ma non diversamente da come lo fu Cristo per i viandanti di Emmaus. Eppoi l’amore genera cerchi virtuosi: essere “innamorati” dà gioia e quando viviamo con gioia siamo più portati ad amare. Questo crea un inarrestabile fiume d’amore che rigenera i rapporti in famiglia, nelle amicizie sempre più sincere, nei rapporti con le autorità da cui oggi dipendi ma da cui sarai sempre indipendente. Perchè loro non convivono con “lei” e quindi, anche se seri professionisti, non avranno mai niente ad insegnarti su di “lei”. Soprattutto sei tu che insegni a tutti noi che “lei” non ha più potere su di te e sulla tua libertà di pianificare il futuro. Perchè anche se “lei” un giorno porterà il tuo fisico alla morte non avrà mai la capacità di portarti via il tuo futuro, e soprattutto non vorrà farlo perchè è “lei” che te lo ha indicato. (Chiara Castellani, Dedicato a un malato di AIDS).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.