Giorno per giorno

Giorno per giorno – 06 Febbraio 2021

Carissimi,
“Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato. Ed egli disse loro: Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un pò. Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte. Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose” (Mc 6, 30-32. 34). A udire questo brano e quello che seguirà, a noi viene subito da pensare a come è scandita la nostra liturgia. La prima cosa che si fa, in apertura, è quella che noi chiamiamo memoria della vita, con cui ci si racconta le cose salienti avvenute nella settimana, in casa, in città, nel Paese, nel mondo, per offrire tutto al Padre, lasciandoci subito dopo illuminare dalla parola della Scrittura, interpretata alla luce dell’insegnamento di Gesù, per poi trarne le debite conseguenze (questo però lo vedremo solo nel seguito del vangelo), anticipandole nel segno sacramentale della condivisione del Pane di vita, che diverrà il contenuto della missione a cui siamo ogni volta inviati. La parola chiave di questo brano, come di tutto il vangelo, è la compassione (qui resa con “si commosse”) che Gesù prova per la folla. Il sostantivo greco che è alla base del verbo che l’esprime è il corrispondente dell’ebraico rachamim, che designa le viscere materne, usato nella Scrittura come l’immagine più appropriata della natura di Dio, il suo amore gratuito e incondizionato per tutti i suoi figli e figlie. Che è ciò che ci dovrebbe sempre guidare quando portiamo il nostro sguardo sul mondo, quello grande e lontano e quello intorno a noi.

Oggi ricordiamo le figure di Paulo Miki e compagni, martiri in Giappone, Ksenija di Pietroburgo, folle per Cristo, Sergio Mendes Arceo, voce dei poveri in America Latina, David Maria Turoldo, poeta e resistente.

Paolo Miki fu il primo giapponese accolto in un Ordine religioso cattolico. Nacque nel 1564 e ricevette il battesimo a cinque anni. Frequentò gli studi in un collegio della Compagnia di Gesù, dove scoprì la sua vocazione religiosa. Entrato in noviziato a 22 anni, proseguì gli studi con successo, diventando un profondo conoscitore di religioni orientali. Percorse il Paese in lungo e in largo, operando numerose conversioni. Il potere politico-militare che in un primo momento aveva dimostrato un atteggiamento tollerante verso i cristiani, improvvisamente mutò registro, dando inizio a violente campagne persecutorie. Paolo Miki, arrestato nel dicembre 1596 a Osaka, trovò in carcere alcuni missionari, tre gesuiti e sei francescani, con 17 laici giapponesi. Insieme a tutti loro, venne crocifisso su un’altura presso Nagasaki.

Della vita di Ksenija Grigorievna Petrova abbiamo solo poche notizie. Sappiamo che era nata intorno al 1720 in una nobile famiglia di Pietroburgo e che ancor giovane aveva sposato il colonnello Andrea Fedorovic. A ventisei anni era rimasta vedova, in seguito alla morte improvvisa del marito. Sconvolta da questa perdita, abbandonati i lussi mondani, Ksenija scelse di vivere la vita degli “jurodivyc”, i “folli per Cristo”. Distribuite le sue sostanze ai poveri, rinunciò al proprio nome e volle essere chiamata con quello del marito. Poi, vestita degli abiti di questi, cominciò a vagare per le vie di Pietroburgo, recandosi a pregare nelle campagne circostanti, a contatto con la natura. La sua mitezza, i suoi atteggiamenti bizzarri, la povertà delle sue vesti, se in un primo momento, le procurarono la derisione e il disprezzo della gente, le conquistarono poi la simpatia e la devozione di molti. Ksenija visse questa condizione di “folle per Cristo” per più di 40 anni, fino alla morte, avvenuta presumibilmente nel 1803. La sua memoria fu fissata dalla Chiesa ortodossa russa il 24 gennaio del calendario giuliano, che corrisponde al nostro 6 febbraio.

Sergio Mendes Arceo, nato nel 1908 in Messico, da giovane voleva diventare un matematico, ma optò poi per il sacerdozio. Ordinato a Roma nel 1932, dopo aver conseguito il dottorato all’Università Gregoriana, fece ritorno in patria, dove fu per alcuni anni professore e direttore spirituale del seminario, finché fu nominato vescovo di Cuernavaca, nel 1952. Si aprì da allora, lentamente, il suo processo di conversione al mondo dei poveri. Le sue innovazioni coraggiose sollevarono le critiche e l’ostilità aperta degli ambienti più conservatori. Chiamato a Roma, rifiutò di rispondere alle domande del Santo Ufficio, chiedendo e ottenendo di essere ricevuto dal papa. Paolo VI lo accolse freddamente, ma un’ora e mezzo di colloquio bastarono ad aprirgli gli occhi su quell’uomo critico, libero e cercatore della giustizia. Tornato nella sua diocesi, si sentì confermato nell’opzione dei più poveri ed esclusi. Nei conflitti operai, studenteschi e contadini non fu mai neutrale, ma sempre di parte, a fianco delle vittime della violenza strutturale. Così come appoggiò, con l’amicizia critica di cui era capace, le esperienze cubana e nicaraguense. Nel 1983, al compimento dei 75 anni, lasciata la diocesi, si ritirò nel villaggio nahua di Ocotepec, dove continuò a celebrar messa nella sua parrocchia, lavorando dodici ore al giorno. Fino alla morte, che lo colse in questo giorno, nel 1992.

Giuseppe Turoldo nacque nel 1916 a Coderno, in Friuli nella famiglia poverissima di Giovanbattista e Anna Di Lenarda. Entrato nell’Ordine dei Servi di Santa Maria, fece il 2 agosto 1935 la sua prima professione religiosa, assumendo il nome di Davide Maria, e, il 19 agosto 1940, fu ordinato sacerdote, svolgendo il suo ministero a Milano nel convento di San Carlo al Corso e come predicatore in duomo, fino al 1953. “Esiliato” per volere della curia romana, potè far ritorno in Italia, con l’avvento di papa Giovanni XXIII, scegliendo di stabilirsi nella millenaria abbazia di S. Egidio nei pressi di Sotto il Monte (Bg), dove restò fino alla morte. Socialmente e politicamente impegnato, fece suo il comando evangelico di “essere nel mondo senza essere del mondo”, traducendolo in “essere nel sistema senza essere del sistema”. Turoldo fu il poeta cristiano che più d’ogni altro nel nostro secolo espresse la passione per il contrasto, lo stare fermamente dentro la Chiesa ma nello stesso tempo starvi criticamente. Con Padre Balducci, Don Milani, Don Dossetti, Don Mazzolari e altri, fu uno degli esponenti più rappresentativi di un rinnovamento del cristianesimo e assieme di un nuovo umanesimo sociale. Morì dopo una lunga malattia il 6 febbraio 1992, il giovedì della quarta settimana del Tempo comune, in cui la liturgia propone ai fedeli il racconto della morte del re David. Il card. Martini, che già in una cerimonia pubblica aveva voluto chiedergli scusa a nome della Chiesa per le persecuzioni subite, officiò le sue esequie.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflçessione sono tratti da:
Lettera agli Ebrei, cap.13, 15-17. 20-21; Salmo 23; Vangelo di Marco, cap.6, 30-34.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda, offrendovi in lettura un brano di David Maria Turoldo. Tratto dal suo libro “Anche Dio è infelice” (Piemme), è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Anche noi vorremmo vederlo, ma in compenso abbiamo soltanto tristezza e inquietudine. E siamo scontenti e insoddisfatti di ogni cosa. Né giova che abbiamo tutto il resto. In realtà è come se non avessimo nulla: specialmente noi, questo ricco e ateo occidente! Noi che abbiamo perfino strumentalizzato e sfruttato il nome di lui, senza tuttavia essere sicuri che ci crediamo. Noi, sempre più disperati; avviati verso l’autodistruzione, verso la nostra incombente rovina. No, i nostri occhi non sono beati. Noi non vediamo neppure il male mortale che ci produciamo con le stesse nostre mani. Cose risapute all’infinito, ripetute fino alla noia. Solo che io non voglio prestarmi al richiamo facile, troppo facile, e perciò stesso abusato e retorico. Dire che l’uomo è fatto per Iddio, e che senza Dio nulla e nessuno lo può ricompensare, è un’affermazione del tutto scontata, e pertanto sospetta e non credibile. Certo che l’universo, anche se intero, senza Dio non accontenterebbe mai l’uomo, perché l’uomo è più grande dell’universo. Certo che la più piccola, la più povera e meschina cosa fra tutte, posseduta insieme a Dio ci rende felici. Ma qui c’è, precisamente, una questione di fede a intromettersi e a complicare il discorso: il valore della fede può prescindere nettamente dalla ragione. È scritto che non con la dialettica Dio vuole salvare l’uomo. Io posso fare il più bel discorso religioso, ma se non ho fede a nulla mi giova. Anzi, se non ho fede e amore: in quanto l’amore è il segno supremo della fede, il segno vero che credo. Io posso parlare di Dio in maniera divina, e tuttavia essere ugualmente ateo. L’intero occidente infatti è attraversato in tutti i sensi dal discorso di Dio, eppure l’occidente è il continente più ateo di tutti. Mai altrove quanto da noi la “religio” è fatta “instrumentum regni”. Naturalmente il discorso vale a livello di sistema, poiché a livello d’individui, ogni uomo è un enigma anche a se stesso: ogni uomo è un mistero. Solo Dio conosce ciò che sta dentro un uomo, quello che passa nella profondità del cuore. E per sistema s’intende la cultura egemone, il comportamento generale, il modo di sentire che dilaga. (David Maria Turoldo, Anche Dio è infelice).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 06 Febbraio 2021ultima modifica: 2021-02-06T22:03:36+01:00da
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