Giorno per giorno

Giorno per giorno – 29 Settembre 2019

Carissimi,
“E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno” (Lc 16, 27-30). Pare che questa preghiera che il ricco della parabola eleva al cielo contenga almeno una traccia di umanità, preoccupato come si mostra per la salvezza dei suoi fratelli. Ma, proprio questo rivela che no, non è cambiato. E dopo aver implorato che fosse dato sollievo alla sua arsura, l’interesse è pur sempre solo per i suoi. La logica rimane quella che aveva caratterizzato tutta la sua vita: “prima io, prima i miei, prima i nostri”. Anzi, solo quelli. Gli altri si dannino. Ma, a dannarsi, in questa demarcazione, è solo lui. A significare che Dio proprio non ci sta. Hanno la Bibbia, imparino da questa, dice Abramo. No, ma se un morto risuscita, a lui crederanno. Illuso, si ostineranno nella loro incredulità. E, di fatto, Cristo è risorto da duemila anni, ma i famigliari del ricco (in gran parte seguaci del Risorto) seguitano a non credere neppure a lui. Anche se, magari, vanno a messa, o al culto, tutte le sante domeniche, o partecipano a pellegrinaggi e a marce per Gesù, o sventolano simboli religiosi, senza accorgersi dei poveri Lazzaro che giacciono alle loro porte. Quei Lazzaro che sono la presenza nascosta dello stesso Cristo. Noi, che parte abbiamo in questa storia? Siamo conniventi con il ricco? Chiudiamo gli occhi davanti al povero? O gli porgiamo aiuto?

I testi che la liturgia di questa XXVI Domenica del Tempo Comune sono tratti da:
Profezia di Amos, cap.6, 1°. 4-7; Salmo 146; 1ª Lettera a Timoteo, cap.6, 11-16; Vangelo di Luca, cap.16, 19-31.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le Comunità e Chiese cristiane.

Il Calendario delle Chiese cattolica, luterana e anglicana, porta oggi la festa di Michele, Gabriele, Raffaele e di tutti gli Angeli.

Con questi nomi la Bibbia, nel suo linguaggio peculiare, ci presenta “esseri celesti” che, nelle missioni loro attribuite, rivelano in realtà la maniera con cui Dio si rende presente nella storia umana. “Michele”, che significa “Chi come Dio?” ci ricorda la trascendenza di Dio e ci è presentato nel libro di Daniele e soprattutto nell’Apocalisse come vincitore dell’Avversario per eccellenza, simbolo della forza del male; “Gabriele”, che significa “Dio è forte”, annuncia gli interventi di Dio in favore del suo popolo e, più specificamente, la venuta del Messia; “Raffaele” che vuol dire “Dio risana”, fu il compagno di viaggio di Tobia: è simbolo di ogni azione di cura e guarigione del Signore con il suo popolo. Gli angeli, infine, sono segno della parola, della guida e della protezione di Dio, presso ciascuno dei suoi figli e figlie.

Noi ricordiamo anche Riccardo Rolle, mistico inglese del XIV secolo, e Kazoh Kitamori, teologo della sofferenza di Dio.

Nato in una famiglia benestante (per altri storici, umile) di Thornton-le-Dale, nella contea dello Yorkshire in Inghilterra, intorno al 1300, Riccardo Rolle studiò per un certo tempo a Oxford, finché, diciannovenne, sentì la chiamata alla vita religiosa e lasciò così l’Università. L’incomprensione della famiglia, che lo prese per matto a causa della vita austera e penitente da lui adottata, indusse il giovane ad allontanarsene. Riccardo vagò per qualche tempo senza destino, per poi stabilirsi come eremita nella tenuta di un certo John Dalton a Pickering. Riprese più tardi la vita di eremita girovago. Il che gli procurò simpatia e seguito tra la popolazione più povera, ma anche l’opposizione di buona parte del clero, la cui vita mondana e frivolezza non mancava di denunciare con sana intemperanza. A partire dal 1345 si trasferì ad Hampole dove, nel locale monastero circestense, si dedicò, senza essere prete, alla direzione spirituale delle monache. Lì, vittima della peste nera, lo colse la morte il 29 settembre 1349. Per un certo tempo, la sua tomba fu meta di pellegrinaggi e luogo di pubblico culto.

Sono poche le notizie che abbiamo su Kazoh Kitamori, il maggior teologo giapponese del secolo scorso. Nato a Kumamoto (Giappone) nel 1916, durante gli studi liceali era rimasto così segnato da un opuscolo su Martin Lutero, da decidere, nel 1935, di recarsi a Tokio, per entrare nel Seminario teologico luterano, dove si laureò nel 1938. Si iscrisse, in seguito, alla Facoltà di Lettere dell’Università imperiale di Kyoto, dove ebbe come docente Hajime Tanabe, discepolo del filosofo giapponese Kitaro Nishida. Dopo la laurea, conseguita nel 1941, insegnò nella stessa Università come assistente fino al 1943, quando si trasferì nel Seminario teologico del Giappone Orientale (in seguito Seminario dell’Unione teologica di Tokio). Lì, a partire dal 1949, insegnò Teologia sistematica fino al ritiro dall’insegnamento nel 1984. Come teologo Kitamori giocò un ruolo decisivo, nella rifondazione della Chiesa Kyodan (Chiesa unita di Cristo in Giappone) e nella redazione della sua Confessione di fede. Lavorò come pastore, al servizio della sua Congregazione, per 46 anni. Benché fosse salutato come il teologo giapponese più letto di tutti i tempi, Kitamori fu ostracizzato dalla corrente evangelica maggioritaria del suo paese. Consapevole di questo, gli piaceva citare il testo della Lettera agli Ebrei, che dice che la morte di Gesù avvenne “fuori della porta della città” di Gerusalemme (Eb 13,12). Kitamori si considerò un “emarginato” che camminava e lavorava teologicamente “fuori della porta”. Il tema centrale della sua riflessione teologica è quello del “dolore di Dio”, a proposito del quale scrisse: “La teologia del dolore di Dio non significa che il dolore esiste in Dio come sostanza. Il dolore di Dio non è un ‘concetto di sostanza’, ma un ‘concetto di relazione’, un carattere dell’amore di Dio”. E ancora: “Il cuore del Vangelo mi è stato rivelato come il ‘dolore di Dio’. Questa rivelazione mi ha portato al percorso seguito dal profeta Geremia (Ger 31,20). Geremia era un uomo ‘che ha visto il cuore di Dio più in profondità’ (Kittel). Sono pieno di gratitudine, perché mi è stato permesso di sperimentare le profondità del cuore di Dio con Geremia”. Kitamori è scomparso il 29 Settembre 1998.

Per il Sanatana Dharma (quello che impropriamente è chiamato Induismo) comincia oggi, primo giorno del mese lunare di Asvina, Navaratri, la festa di “nove notti” (tale è il significato del nome) che celebra la Madre divina, sotto i nomi di Durga (che distrugge le tendenze negative), Lakshmi (che propizia l’acquisizione di ogni sorta di virtù) e di Sarasvati (che instilla sapienza e conoscenza spirituale). La novena culminerà, il giorno 8 di ottobre, nella festa di Dussehra, che celebra la sconfitta del re dei demoni Ravana da parte del Signore Rama. Beh, che oltre ogni simbolismo, questo possa essere vero per tutti noi!

Si è celebrata oggi la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, istituita dalla Chiesa nel 1914, un tempo in cui dall’Italia partivano moltissimi emigranti, con la conseguenza che interi paesi si spopolavano, lasciando soltanto vecchi e bambini. Nata come celebrazione della Chiesa italiana, da qualche anno la Santa Sede l’ha estesa a tutto il mondo cattolico. Il tema scelto da papa Francesco per quest’anno è stato “Non si tratta solo di migranti” per sottolineare la complessità del fenomeno, mostrare i punti deboli e indurre a operare perché nessuno rimanga escluso dalla società, che sia un cittadino residente da molto tempo, o un nuovo arrivato.
Oggi, le Comunità ecclesiali di base della Diocesi si sono ritrovate a Itaguari (a una sessantina di chilometri da Goiás), per la periodica Festa delle Comunità, che quest’anno aveva come tema “CEBs: Luce per le sfide del mondo” e come slogan “Camminiamo nella luce” (1Gv 1,7). L’occasione per il popolo delle comunità, con i loro animatori e animatrici, i pastori e il nostro vescovo, per convivere, riflettere, scambiare esperienze, pregare, festeggiare in allegria. Nonostante il sole canicolare che ha dardeggiato durante buona parte del giorno.

È tutto, per stasera. E noi, prendendo spunto dalla celebrazione della Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato, scegliamo di congedarci, offrendovi in lettura uno stralcio del messaggio inviato da papa Francesco per tale occasione. Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
“Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli” (Mt 18,10). Non si tratta solo di migranti: si tratta di non escludere nessuno. Il mondo odierno è ogni giorno più elitista e crudele con gli esclusi. I Paesi in via di sviluppo continuano ad essere depauperati delle loro migliori risorse naturali e umane a beneficio di pochi mercati privilegiati. Le guerre interessano solo alcune regioni del mondo, ma le armi per farle vengono prodotte e vendute in altre regioni, le quali poi non vogliono farsi carico dei rifugiati prodotti da tali conflitti. Chi ne fa le spese sono sempre i piccoli, i poveri, i più vulnerabili, ai quali si impedisce di sedersi a tavola e si lasciano le “briciole” del banchetto (cf Lc 16,19-21). “La Chiesa ‘in uscita’ […] sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi” (Esort. ap. Evangelii gaudium, 24). Lo sviluppo esclusivista rende i ricchi più ricchi e i poveri più poveri. Lo sviluppo vero è quello che si propone di includere tutti gli uomini e le donne del mondo, promuovendo la loro crescita integrale, e si preoccupa anche delle generazioni future. “Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti” (Mc 10,43-44). Non si tratta solo di migranti: si tratta di mettere gli ultimi al primo posto. Gesù Cristo ci chiede di non cedere alla logica del mondo, che giustifica la prevaricazione sugli altri per il mio tornaconto personale o quello del mio gruppo: prima io e poi gli altri! Invece il vero motto del cristiano è “prima gli ultimi!”. “Uno spirito individualista è terreno fertile per il maturare di quel senso di indifferenza verso il prossimo, che porta a trattarlo come mero oggetto di compravendita, che spinge a disinteressarsi dell’umanità degli altri e finisce per rendere le persone pavide e ciniche. Non sono forse questi i sentimenti che spesso abbiamo di fronte ai poveri, agli emarginati, agli ultimi della società? E quanti ultimi abbiamo nelle nostre società! Tra questi, penso soprattutto ai migranti, con il loro carico di difficoltà e sofferenze, che affrontano ogni giorno nella ricerca, talvolta disperata, di un luogo ove vivere in pace e con dignità» (Discorso al Corpo Diplomatico, 11 gennaio 2016). Nella logica del Vangelo gli ultimi vengono prima, e noi dobbiamo metterci a loro servizio. (Papa Francesco, Messaggio per la 105ª Giornata del Migrante e del Rifugiato 2019).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 29 Settembre 2019ultima modifica: 2019-09-29T22:31:05+02:00da
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