Giorno per giorno

Giorno per giorno – 08 Settembre 2019

Carissimi,
“Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo. Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo” (Lc 14, 26-27. 33). Affermazione scandalosa, quella dell’odio per i propri cari, come condizione per seguire Gesù, che molte traduzioni (e quasi tutte le omelie) attenuano, rendendo la frase con “Chi non mi ama più di quanto ami…”. Eppure, ce lo dicevamo già giovedì, a casa di Lazinho e Nara, in un contesto dunque di fratelli e sorelle, genitori e figli, compresi Dayane e Carlos con la piccola splendida Camila, dev’esserci un modo di non scappare dalla radicalità del testo, facendo comunque salvo il comandamento dell’amore. La richiesta non è di odiare le persone, ma il legame, ogni legame, che, designato dal nome e dalla funzione, ci chiude in una relazione escludente, in un circolo che si frappone come barriera all’amore universale incarnato da Gesù. Così, alle figure famigliari elencate nel Vangelo, potremo aggiungere, e a maggior ragione, altre figure che ci possono ostacolare nella sequela del Maestro: la patria, la classe, la cultura, l’ideologia, il partito, persino la religione e la chiesa. Per tutte vale la Parola dirompente di Gesù: se non odiate questo e questo e quest’altro, che vi imprigiona in un circolo chiuso, non potete essere miei discepoli. Detto in altro modo, potrebbe suonare così: se non amate il povero, lo straniero, l’immigrato, il nemico, il pagano, il peccatore, il criminale, “come” (nella stessa misura con cui) amate coloro che la vostra tradizione, l’ambiente famigliare, il contesto sociale, vi hanno insegnato ad amare, non potete essere miei discepoli. Per testimoniare questo amore di rottura, più grande e onnicomprensivo, dobbiamo essere disposti a portare, con Gesù, la croce, che non è una generica sofferenza, ma la conseguenza che deriva dalla nostra scelta, in termini di condanna, morale e persino penale, da parte del Sistema. Per lui fu la pena capitale. Gesù ci chiede di fare bene i calcoli, prima di deciderci ad assumere, o superficialmente rivendicare, l’onere insostenibile di questa testimonianza. Nel caso, è meglio rinunciarvi, venire a patti con lo spirito del Sistema-mondo, ma senza inutili mascheramenti. Faremo meno danni.

I testi che la liturgia di questa XXIII Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro della Sapienza, cap.9,13-18; Salmo 90; Lettera a Filemone, 1,9b-10.12-17; Vangelo di Luca, cap.14, 25-33.

La preghiera della domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

Oggi, se non fosse per la coincidenza della domenica, sarebbe la festa della Natività di Maria, antesignana di quanti per la fede generano Dio al mondo.

Storicamente, la Festa della Natività di Maria sorse nelle Chiese d’Oriente, nel sec.V, mentre la Chiesa di Roma l’adottò o la solennizzò solo all’inizio del sec. VIII, per volontà del papa Sergio I, di origine siriaca. San Pier Damiani, parlando di questa festa dirà: “Oggi è il giorno in cui Dio comincia a mettere in pratica il suo piano eterno, poiché era necessario che si costruisse la casa, prima che il Re scendesse ad abitarla. Casa bella, poiché, se la Sapienza si costruì una casa con sette colonne lavorate, questo palazzo di Maria poggia sui sette doni dello Spirito Santo. Salomone celebrò in modo solennissimo l’inaugurazione di un tempio di pietra. Come celebreremo la nascita di Maria, tempio del Verbo incarnato? In quel giorno la gloria di Dio scese sul tempio di Gerusalemme sotto forma di nube, che lo oscurò. Il Signore che fa brillare il sole nei cieli, per la sua dimora tra noi ha scelto l’oscurità (1 Re 8,10-12), disse Salomone nella sua orazione a Dio. Questo nuovo tempio si vedrà riempito dallo stesso Dio, che viene per essere la luce delle genti”.

Oggi ricordiamo anche la figura di Antoine Frédéric Ozanam, amico dei poveri, fondatore delle Conferenze di S. Vincenzo de Paolis.

Antoine Frédéric Ozanam nacque a Milano, il 23 aprile 1813, nella famiglia di Jean-François Ozanam e di Maria Nantas. Dopo aver compiuto gli studi a Lione, il giovane si trasferì a Parigi, nel 1831, per completare la sua formazione accademica alla Facoltà di Diritto e di Lettere. In questo periodo prese a collaborare a numerose riviste e ad organizzare conferenze di cultura religiosa. Un giorno un compagno di università lo apostrofò dicendo: “Voi cattolici siete bravi solo a parlare e a discutere, quand’è che vi deciderete a fare qualcosa?”. Punto nel vivo, Ozanam si rese conto che un cristianesimo solo teorico, incapace di tradursi in una pratica ispirata dall’amore, a prezzo del proprio sacrificio personale, è morto. Assieme ad alcuni compagni decise, nel 1833, di dare vita ad un’associazione di laici votata all’aiuto dei poveri, che si chiamerà in seguito Società di san Vincenzo de’ Paoli. Nominato, a soli ventisette anni, titolare della cattedra di Letteratura straniera alla Sorbona, sposò nel 1841 Amélie Soulacroix, che gli darà una figlia, Maria. Allo scoppio della rivoluzione del 1848, pur deplorando la violenza dei rivoltosi, Ozanam difese la giustezza della loro causa, sostenendo che non poteva esserci soluzione se non si affrontava di petto il problema della miseria sociale che, di quella violenza, era causa e origine. Negli anni successivi, il progressivo deteriorarsi delle condizioni di salute, lo convinse a lasciare l’insegnameno. Continuò tuttavia il suo impegno e la sua presenza tra i poveri, e la sua battaglia ideale per riconciliare la chiesa e la democrazia, contro quei ceti conservatori che anche in ambito cattolico erano attestati nella difesa dei privilegi di pochi, sotto lo slogan di “Legge e ordine”. Di ritorno da un viaggio in Italia, Ozanam morì stroncato dalla malattia, a Marsiglia, l’8 settembre 1853.

Secondo i dati forniti tempo fa dall’Unesco, ci sono ancora oggi nel mondo circa 774 milioni adulti non alfabetizzati. Per ricordarcelo e sensibilizzare noi e i nostri governi sul problema e sulla sfida che esso rappresenta è stata istituita la Giornata Internazionale dell’alfabetizzazione, che cade giusto oggi.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, con un brano dell’omelia che papa Francesco ha tenuto oggi durante la Messa nel Campo Diocesano di Soamandrakizay, ad Antananarivo (Madagascar)

PENSIERO DEL GIORNO
Guardiamoci intorno: quanti uomini e donne, giovani, bambini soffrono e sono totalmente privi di tutto! Questo non fa parte del piano di Dio. Quanto è urgente questo invito di Gesù a morire alle nostre chiusure, ai nostri orgogliosi individualismi per lasciare che lo spirito di fraternità – che promana dal costato aperto di Cristo, da dove nasciamo come famiglia di Dio – trionfi, e ciascuno possa sentirsi amato, perché compreso, accettato e apprezzato nella sua dignità. “Davanti alla dignità umana calpestata spesso si rimane a braccia conserte oppure si aprono le braccia, impotenti di fronte all’oscura forza del male. Ma il cristiano non può stare a braccia conserte, indifferente, o a braccia aperte, fatalista, no. Il credente tende la mano, come fa Gesù con lui” (Omelia in occasione della Giornata mondiale dei poveri, 18 novembre 2018). La Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci invita a riprendere il cammino, a osare questo salto di qualità e adottare questa saggezza del distacco personale come base per la giustizia e per la vita di ognuno di noi: perché insieme possiamo combattere tutte quelle idolatrie che ci portano a focalizzare la nostra attenzione sulle ingannevoli sicurezze del potere, della carriera e del denaro e sulla ricerca di glorie umane. Le esigenze che Gesù indica cessano di essere pesanti quando iniziamo a gustare la gioia della vita nuova che Egli stesso ci propone: la gioia che nasce dal sapere che Lui è il primo a venirci a cercare agli incroci delle strade, anche quando ci siamo persi come quella pecora o quel figlio prodigo. Possa questo umile realismo – è un realismo, realismo cristiano – spingerci ad affrontare grandi sfide, e dia a voi il desiderio di rendere il vostro bel Paese un luogo in cui il Vangelo possa diventare vita, e la vita sia per la maggior gloria di Dio. Decidiamoci e facciamo nostri i progetti del Signore. (Papa Francesco, Omelia alla Messa nel Campo Diocesano di Soamandrakizay, Antananarivo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 08 Settembre 2019ultima modifica: 2019-09-08T22:47:25+02:00da
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