Giorno per giorno

Giorno per giorno – 26 Dicembre 2018

Carissimi,
“Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato” (Mt 10, 21-22). “A causa del suo nome”. E spesso, paradossalmente, forse solo inconsapevolmente rinnegandolo, “in suo nome”. È avvenuto, da sempre, nel corso della storia, fin dalle origini. Lo scandalo di un Dio che, in Gesù, si fa piccolo, fragile, inerme, che denuncia nel suo stesso apparire ogni struttura e ogni logica di potere, porta inevitabilmente con sé la possibilità di una reazione violenta e rabbiosa da parte di tutti coloro che, a livello politico, economico, sociale, religioso, vivono e organizzano l’esistenza altrui sotto il segno del dominio, assimilando questo a dio o affermandolo anche solo come legge ineluttabile della storia umana. È per questo che la liturgia ci propone nel secondo degli otto giorni di questa festa, la memoria del martirio di Stefano, il primo in uno stuolo di testimoni, che, lungo i secoli, fino ai nostri giorni, avrebbe rifiutato di svendere e tradire la verità del Natale, in cui Dio sceglie di identificarsi con i più piccoli, poveri, emarginati, esclusi. L’essere cristiani comporta l’assumere questa identificazione, subendone tutte le conseguenze, sapendo che in questo consiste la nostra salvezzza, cioè la partecipazione alla vita stessa di Dio.

Oggi è, dunque, il Secondo Giorno dell’Ottava di Natale ed è memoria del diacono Stefano, primo martire. A cui noi aggiungiamo quella di Jean-Marc Ela, presbitero e teologo africano.

Secondo il racconto che ne fanno gli Atti degli Apostoli, Stefano era un ebreo della diaspora, che, dopo aver accettato il cristianesimo, fu incaricato assieme ad altri sei di provvedere alla cura dei poveri della comunità. Denunciato dinanzi al Sinedrio da un gruppo di ex-correligionari di parlare contro il Tempio e contro la Legge, si produsse in un’autodifesa che ne peggiorò la situazione, al punto che “quelli del tribunale… si turarono le orecchie e gridarono a gran voce; poi si scagliarono tutti insieme contro Stefano, lo trascinarono fuori città per ucciderlo a sassate. I testimoni deposero i loro mantelli presso un giovane, un certo Saulo, perché li custodisse. Mentre gli scagliavano addosso le pietre, Stefano pregava così: ‘Signore Gesù, accogli il mio spirito’. E cadendo in ginocchio, gridò forte: ‘Signore, non tener conto del loro peccato’. Poi morì” (At 7, 57 ss). C’è solo da aggiungere che quel Saulo diventerà poi san Paolo, quasi a significare che, insomma, c’è speranza davvero per tutti!

Nato a Ebolowa, in Camerun, il 27 settembre 1936, Jean-Marc Ela fu prete, teologo, sociologo e professore. Studiò teologia e filosofia all’Università di Strasburgo, in Francia, e passò sedici anni come missionario a Tokombere, tra i Kirdi del Camerun nord-occidentale, accanto alla figura carismatica di Baba Simon, da molti considerato una sorta di san Paolo africano. L’opera che lo fece conoscere fu “La mia fede d’Africano”, apparso in francese nel 1985 e poi tradotto in inglese, tedesco e italiano. Il libro denunciava l’imposizione da parte della Chiesa in Africa di un modello di fede che ignorava del tutto i bisogni reali della popolazione, soprattutto delle comunità rurali. Attraverso un’analisi accurata dei sacramenti, dell’ermeneutica biblica e della prassi missionaria, identificava le vie attraverso cui la tradizione cattolica manteneva gli africani dipendenti nei confronti dell’Europa. Da parte sua, si faceva sostenitore di un’inculturazione della fede che rispettasse, riscattasse e valorizzasse la maniera d’essere della sua gente. Animato, assillato, inquietato dalle figure di Gesù di Nazareth, da quella di Abele, il cui grido giunge fino a Dio e ne provoca la domanda ai Caini di ogni tempo: che hai fatto di tuo fratello?, e da quella rappresentata dal mondo dei più deboli, degli oppressi e degli esclusi, che riassumeva e riviveva nella sua carne la passione dell’uno e dell’altro, Ela collocò la sua teologia al servizio di quel progetto. Critico del potere politico del suo Paese, nonché delle omissioni e delle collusioni della gerarchia ecclesiastica nei confronti di quello, dopo l’assassinio di padre Engelbert Mveng, il 22 aprile 1995, si recò in esilio nel Québec, dove continuò ad insegnare Sociologia nell’Universitá di Laval, a Montreal, fino alla morte, avvenuta il 26 dicembre 2008. Fu sepolto nel suo paese natale, a Ebolowa, in Camerun.

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono propri della memoria del Protomartire Stefano e sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap. 6,8-10; 7,54-60; Salmo 31; Vangelo di Matteo, cap. 10,17-22.

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti, anche fuori da strutture religiose tradizionali, lavorano per costruire un mondo di fraternità, giustizia e pace.

È tutto, per stasera. In questa Ottava di Natale, abbiamo deciso di proporvi, per ogni giorno, una riflessione sul mistero della Natività del Signore. E dato che si è scoperto che oggi è il compleanno di un teologo italiano, Pierangelo Sequeri, che, per ciò che ne sappiamo, ha aiutato un buon numero di nostri amici e amiche nel cammino di approfondimento della fede, vi offriamo, nel congedarci, una citazione tratta da un suo editoriale, apparso in Avvenire del 6 gennaio 2011, con il titolo “La luce sul vuoto”. Che è, così, per oggi

PENSIERO DEL GIORNO
Non sono le luci della festa, e il calore intimo che vi si avvolge, la pietra dello scandalo. È il vuoto di realtà che vi si installa, il nostro problema. Natale è un punto di tangenza con il mistero della nostra origine e della nostra destinazione. Dio non è mai stato così vicino agli esseri umani, come in quel giorno. Quando non vediamo più, quando non siamo più toccati – e persino feriti – dai segni di quella presenza, possiamo allungare le prediche e accendere i fari quando vogliamo. L’occasione è persa. Se invece batte il cuore, per la nostalgia della presenza bambina di Dio, allora tutto può accadere. Trafitto mille volte, questo Natale. Dagli aguzzi profili delle nostre insensibili città di pietra, dove si tollerano luci solo per gli ultimi nati di “Mammona”. Dalle terribili ombre di un risentimento disperato e distruttivo, che viene da oscuri fraintendimenti del Sacro. Eppure, mai così vicino al nostro impotente senso di struggimento per il vuoto che lascerebbe se fosse spento. Guardate i vostri figli. Cercate il respiro della carne del Figlio (Pierangelo Sequeri, La luce sul vuoto).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 26 Dicembre 2018ultima modifica: 2018-12-26T22:37:08+01:00da
Reposta per primo quest’articolo