Carissimi,
“Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette” (Gv 20, 6-8). Come credere ad un Messia sotto il segno di un bambino avvolto in fasce, deposto in una mangiatoia? Solo dei pastori. Come credere a un Risorto, sotto il segno di una tomba vuota, delle fasce per terra e del sudario piegato? Solo un discepolo amato. Nello spazio di quarantott’ore, la liturgia ci ripropone in sintesi l’intero arco della narrazione evangelica, nei suoi due poli estremi: nascita e risurrezione. Questo secondo, per via della tradizionale identificazione del “discepolo amato” con l’evangelista Giovanni, di cui oggi si fa memoria. Però, il “discepolo amato” rappresenta pure, e forse soprattutto, come anche i pastori, i “piccoli” della comunità. Che sono, da sempre, i più amati da Dio, proprio perché più piccoli e insignificanti, sguarniti, sprovveduti, a volte persino malandrini. Sono loro che, per una sorta di rivelazione originaria, che va ben oltre la lettera di quei testi che spesso non sanno neppure leggere, sanno identificare le tracce di Dio, di dove Lui è all’opera. Noi chiesaioli, invece, spesso, ci perdiamo il meglio: leggiamo, vediamo, ci esercitiamo in teologie e liturgie dalle geometriche perfezioni, ma non capiamo in realtà nulla. Incapaci come siamo di afferrare la parola nuda della croce, che ci chiama, spogli di ogni orpello, alla contemplazione del Povero. E alla condivisione con i poveri che sono Lui.
Oggi è il Terzo giorno dell’Ottava di Natale, che la chiesa celebra assieme alla memoria di Giovanni, evangelista. Noi ricordiamo, oggi, anche le figure di quattro Padri Bianchi: Charles Deckers, Alain Dieulangard, Jean Chevillard, Christian Chessel, martiri in Algeria.
I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono propri della memoria del Discepolo amato e sono tratti da:
1ª Lettera di Giovanni, cap. 1,1-4; Salmo 97; Vangelo di Giovanni, cap. 20,2-8.
La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.
“Scegliere la debolezza per incontrare l’altro e riflettere così lo spirito del Vangelo”: è il senso di una meditazione scritta, pochi mesi prima della morte, da P. Christian Chessel, il più giovane dei quattro Padri Bianchi, del cui martirio si fa memoria oggi. Pubblicata sotto il titolo “Dans ma faiblesse, je prends ma force” nel sito del Service national des vocations – Eglise catholique en France, ve ne proponiamo, nel congedarci, un brano come nostro
PENSIERO DEL GIORNO
“Chi è debole che anch’io non lo sia? Se è necessario vantarsi, mi vanterò di quanto si riferisce alla mia debolezza (…) perché dimori in me la potenza di Cristo. Perché quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor 11, 29-30. 12, 9-10). La missione, specialmente, nel mondo arabo-musulmano, è segnata dalla debolezza. La parola può sorprendere. Non è abituale nel vocabolario missionario. La “debolezza” ha una cattiva stampa nel nostro mondo, dove la forza e la salute fisica, psicologica, intellettuale sono sinonimi di sviluppo e di successo sociale. Eppure san Paolo, nelle sue lettere, non utilizza meno di 33 volte la parola “debolezza”. La debolezza condivisa è il linguaggio di Dio divenuto uomo. Nella Bibbia il “debole” è anzitutto colui di cui ci si deve preoccupare e che bisogna rispettare. “Chi opprime il debole, offende il suo Creatore” (Pr 14, 31). Dio s’identifica con le più deboli delle sue creature. “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40). È il “linguaggio della croce”, poiché “ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1 Cor 1, 18. 25). Gesù, Dio divenuto uomo, raggiunge la nostra debolezza “naturale”, condividendola. Egli assume e trasfigura ogni umana debolezza. Se ne serve per rivelare ad ogni uomo l’opera del suo amore. Sono i “deboli” che capiscono meglio questo linguaggio! “Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Lc 10, 21). La debolezza accettata, come linguaggio del dialogo e dell’annuncio. (Christian Chessel, Dans ma faiblesse, je prends ma force).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.