Carissimi,
“Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! C’è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto!” (Lc 12, 49-50). Lui è venti secoli che continua a ripeterlo e spera di trovare in ogni generazione chi sappia sentirsi contagiato dalla sua stessa passione e angoscia, perché la fiamma dell’annuncio e della testimonianza del vangelo (“che tutti abbiano vita in abbondanza!”) divampi ovunque. Dando per scontato che questo suscita, in ogni tempo, nei Poteri, e in chi vi è succube, ripulsa, avversione e odio nei confronti dei discepoli, e finisce per tradursi nella loro partecipazione al suo destino di morte. Che, poi, è ciò che Lui chiama il suo battesimo. Ora, di cosa è fatta la nostra vita di chiesa? E quella di noi come credenti? Di quali passioni e di quali angoscie ci facciamo carico? Come si traduce nelle nostre scelte (economiche, politiche, religiose) il supremo anelito del Gesù (cioè, del Dio), in cui diciamo di credere: “Che tutti abbiano vita in abbondanza”? Tutti. Vita. Abbondanza. Pensiamo, forse, di potercela cavare, come Caino, con un “Sono forse io il custode di mio fratello?” (Gen 4, 9).
Oggi facciamo memoria di Henri Perrin, preteoperaio, e di Antonio Llidó, prete al servizio degli ultimi, martire in Cile.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da
Lettera agli Efesini, cap.3, 14-21; Salmo 33; Vangelo di Luca, cap.12, 49-53.
La preghera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.
Dalla rivista Pretioperai n.95-96 (2012) riprendiamo una pagina de “Il Vangelo delle meraviglie. Commento a Marco” (Cittadella) di Aldo Bodrato. A partire dalla “confessione di Pietro” e dal fraintendimento che essa non manca di manifestare, segnala la tentazione che accompagna, da allora, “la professione di fede, fin nei vertici della comunità apostolica”. E che attraversa tutta la storia della chiesa. Ed anche la nostra. È questo, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Confessare che Gesù è il Messia, l’Unto di Dio, la Primizia del Regno, non è conoscere fino in fondo la sua verità, non è ancora rendere presente il Regno di salvezza, di libertà e di pace, se non si è disposti ad accettarne le conseguenze, vale a dire il rifiuto dei potenti della storia, l’incomprensione del popolo e il martirio. Confessare la cristicità di Gesù, come cristicità gloriosa e non crocefissa, è l’ultima manipolazione satanica dell’agire di Dio nella storia, perché chi così la esprime non la pensa “secondo Dio, ma secondo gli uomini”, non si fa carico della sequela come spogliazione, ma intende il Regno come potere e dominio, secondo “il lievito dei Farisei e di Erode” (Mc 8,15). Per questo Pietro, primo tra i chiamati (Mc 1,16) e tra i Dodici (Mc 3,16), primo anche nel riconoscere Gesù (Mc 8,29), è trattato esplicitamente da Satana, quando rimprovera Gesù per aver parlato di fallimento e di morte; e per questo Marco, ancora una volta lui solo tra gli evangelisti con Matteo che lo ripete e lo attenua (Mt 16,13-23), sottolinea che questa tentazione è operante fin dal principio della professione di fede, fin nei vertici della comunità apostolica. Il cristianesimo può essere vissuto, da sempre, non nell’ottica della divina sequela chenotica e del servizio, ma in quella satanica del potere e del dominio. Il Gesù di Marco lo sa e lo denuncia e, dopo averlo denunciato, tenta anche di porvi un argine esortando le folle e i discepoli a seguirlo, a rinnegare se stessi e a prendere la propria croce. Infatti la salvezza non sta nel “guadagnare il mondo intero” o nel cercare di salvare se stessi. […] Marco non prevedeva che sarebbe stato lasciato tanto tempo alle possibilità di fraintendimento e di tradimento del vangelo. Se lo avesse previsto sarebbe forse stato preso dallo scoraggiamento o, forse, con Matteo e Luca avrebbe moltiplicato le esortazioni di Gesù alla perseveranza, ma non credo che le avrebbe rese più forti. Già nel breve arco di una generazione aveva, infatti, sperimentato e l’infedeltà e l’abiura e il fraintendimento, e le aveva sperimentate non come eccezione, ma come norma del discepolato. Se la fede è un dono, se è un dono la capacità di capire il mistero, anche l’incapacità di credere e di comprendere è coessenziale alla grazia, anche il fraintendere e il tradire. Forse non si può essere cristiani che come Pietro, coscienti delle proprie tendenze sataniche, feriti dall’esperienza della propria infedeltà. (Aldo Bodrato, Il dono dell’incomprensione).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.