Carissimi,
“Qual è dunque l’amministratore fedele e saggio, che il Signore porrà a capo della sua servitù, per distribuire a tempo debito la razione di cibo? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo lavoro. In verità vi dico, lo metterà a capo di tutti i suoi averi” (Lc 12, 42-44). Nel vangelo di ieri Gesù paragonava se stesso a un padrone che torna da una festa di nozze, mentre noi eravamo i suoi servi, sperabilmente svegli e pronti ad accoglierlo. Nel brano di oggi, comincia, invece, con l’applicare a noi l’immagine del padrone di casa e a sé quella del ladro che giunge a far man bassa (anche se spera di non riuscirci perché ci trova ben desti: speravi di farcela, eh?!). Poi, però, torna ancora ad essere lui il padrone che, costretto ad assentarsi, si preoccupa di lasciare la casa organizzata il meglio che può. Ed è bene che sia così, perché, almeno, sappiamo che, di padroni, non ne vuole proprio sapere sulla terra. Meno che meno nella sua casa (la chiesa). E noi dovremmo averlo imparato dopo tanto tempo. Ora, tra i tanti servizi necessari per il buon andamento della casa, quello che più gli sta a cuore è quello dell’amministratore – Matteo, nel testo parallelo, lo dice semplicemente servo (Mt 24, 45), forse per evitare che si monti la testa – il cui compito, in ogni caso, è dar da mangiare all’ora giusta agli altri servi. Questo è il massimo della carriera ecclesiastica, accessibile a tutti, per altro, previsto dal Signore. Ed è anche il tutto della missione della Chiesa: alimentarci gli uni gli altri del corpo del Signore, per apprendere a consegnare la nostra vita per la vita del mondo.
Oggi il nostro calendario ecumenico ci porta la memoria di Rabbi Levi Isacco di Berditschev, mistico ebreo.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera agli Efesini, cap.3, 2-12; Salmo (Is 12, 2-6); Vangelo di Luca, cap.12, 39-48.
La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti ricercano l’Assoluto della loro vita nella testimonianza per la pace, la fraternità e la giustizia.
Bene, anche per stasera, è tutto. Noi ci si congeda qui, lasciandovi ad un insegnamento di Rabbi Levi Isacco di Berditschev, che troviamo ne “I racconti dei Chassidim” (Garzanti) di Martin Buber, e che è, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Chiesero al Rabbi di Berditschev quale fosse la via giusta, quella dell’afflizione o quella della gioia, ed egli rispose: “Vi sono due specie di afflizione e due specie di gioia. Quando uno si affligge per la disgrazia che l’ha colpito, si rannicchia nel suo cantuccio e dispera dell’aiuto, questa è la cattiva afflizione, di cui è detto: ‘La Shechinà non dimora nel luogo della tristezza’ (TB Shabbat 30). L’altra è l’onesta pena dell’uomo che sa che cosa gli manca. Lo stesso per la gioia. Chi manca d’intima sostanza e nel suo vano piacere non lo sente e non si preoccupa di colmare il vuoto, costui è un folle. Ma l’uomo veramente gioioso è come uno a cui è bruciata la casa e che ha sofferto nell’anima la sua pena, ma poi ha incominciato a costruirne una nuova, e il suo cuore si rallegra di ogni pietra che pone”. (Martin Buber, I racconti dei Chassidim).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.