Carissimi,
“Mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; Marta invece era tutta presa dai molti servizi” (Lc 10, 38-40). Il vangelo non specifica se, come probabile, Gesù si sia portato appresso, i dodici che viaggiavano con lui verso Gerusalemme (mica avrebbe potuto dirgli: beh, voi vedete di arrangiarvi!). Il che giustificherebbe un po’ di più l’agitazione della povera Marta, con la casa piena di gente, e la sorella, beata, ai piedi di Gesù. Che, poi, con tutti quegli uomini (considerata la cultura del tempo), non era proprio la cosa più opportuna. Sai le chiacchiere dei vicini. Noi, stasera, eravamo riuniti con la comunità dell’Aparecida, a casa di Meirinha. E dona Nady, aprendo la serie di interventi, ha detto che non c’era bisogno di immaginare la scena, perché noi, in qualche modo la stavamo vivendo. Gesù, infatti era giunto ospite, con la sua parola, in quella casa, e i suoi discepoli pure. Ed anche i vicini. Solo che Marta (che qui era dona Vicentina), previdente com’è, aveva preparato il rinfresco da prima, sicché non aveva bisogno di correre qua e là, né protestava perché nessuno l’aiutava; se ne stava invece quieta e tranquilla ad ascoltare anche lei la parola che veniva proclamata e i commenti che le venivano dietro. Però, a volte capita, anche durante i nostri incontri, che una Marta troppo apprensiva e piena di buona volontà resti “di là” a preparare molte cose e finisca per perdersi il meglio. Il richiamo amichevole che Gesù rivolge a Marta non è diverso dai consigli che darà ai discepoli in un’altra occasione: “Non cercate cosa mangerete e berrete, e non state con l’animo in ansia: di tutte queste cose si preoccupa la gente del mondo. Cercate piuttosto il regno di Dio, e queste cose vi saranno date in aggiunta” (Lc 12, 29-31). Ora, nelle diverse situazioni in cui è scandito il nostro quotidiano, cos’è che ci caratterizza maggiormente: la capacità di ascolto dell’Altro e degli altri, capace di orientare poi la nostra azione, o certo attivismo frenetico, dove decido io in partenza ciò che comunque è meglio pr tutti? Gesù dice che l’ascolto è la parte migliore. E non è una novità per chi è abituato a iniziare la sua professione di fede con le parole: Ascolta, Israele.
Oggi la Chiesa fa memoria del Patriarca Abramo, Padre di tutti i credenti nel Dio unico.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Galati, cap. 1,13-24; Salmo 139; Vangelo di Luca, cap. 10, 38-42.
La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.
E con riferimento alla festa di Simchat Torah, scegliamo di proporvi, nel congedarci, un brano tratto dal commento di Pinchas H. Peli alla prima parashah del nuovo anno liturgico, quella di Bere’shit, che sarà letta nelle sinagoghe sabato prossimo. È tratto dal suo libro “La Torah oggi” (Marietti) ed è, così, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Il testo da leggere era sempre il medesimo. Non è permesso cambiare uno iota della Torah scritta! Mai, comunque, essa appariva antica o ripetitiva o addirittura fuori tempo. Ogni anno, rileggendole, le letture settimanali avevano sembianza e sapore di fresco e di nuovo. Nel testo si trovavano sempre nuovi spunti di riflessione, così come non cessò mai il flusso delle nuove traduzioni e commentari. “Ci sono – dicevano i rabbini – settanta facce della Torah”. Poi quelle settanta divennero settecento e più. Presentavano sempre un “nuovo aspetto” quando si leggeva il brano settimanale: era sempre incantevole e affascinante! Qualche centinaio di anni fa un tale scrisse un libro che conteneva non meno di novecentotredici diverse interpretazioni della parola bere’shit che è la prima della Torah. Si fermò a novecentotredici perché quello è il valore numerico della parola seondo il sistema della “Gematria”: b=2, r=200, ’ (alef)=1, sh=300, i=10 e t=400. Totale = 913. I lettori della Torah non si lasciarono mai coinvolgere dalla domanda ingenua, ma spesso condivisa dalla cosiddetta “mentalità scientifica”: di tutti i commentari, qual è quello “vero” o “valido”? Sapevano, come acutamente percepiscono gli studiosi di ermeneutica e di critica letteraria moderna, che ogni grande opera che si distingue può essere interpretata a vari livelli, tutti ugualmente “veri” e “validi”. E se questo vale per la letteratura, vale certamente anche per la parola di Dio racchiusa nella Torah. I rabbini la paragonano a una lettera che l’amato ci scrive da un lungo viaggio. Nel nostro desiderio per l’amato assente, quante volte la leggiamo e la rileggiamo, quale intensità di sentimento vi sentiamo e quanti nuovi significati attribuiamo ad ogni parola! La Torah è la lettera che l’innamorato ci ha lasciato prima di partire per un luogo lontano, dove non ci è dato raggiungerlo. Leggere e rileggere la lettera è l’unico modo per stare con lui. Questo noi facciamo ogni Sabato leggendo una sezione della Torah. Possiamo udirlo e sentircelo vicino di continuo, sempre nuovo, sempre vivo. Ogni settimana non solo abbiamo l’occasione di una nuova lettura, ma anche di una nuova esperienza. Il contenuto del brano diventa parte viva della vita familiare per quella settimana. Leggere la Torah non è mai stato un compito esclusivo degli studiosi o dei rabbini. Ognuno vi prende parte secondo le proprie capacità. (Pinchas H. Peli, La Torah oggi).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.