Carissimi,
“Gesù chiamò a sé i Dodici e diede loro potere e autorità su tutti i demoni e di curare le malattie. E li mandò ad annunziare il regno di Dio e a guarire gli infermi” (Lc 9, 1-2). Più avanti, darà la stessa missione ai discepoli. Gesù non manda a predicare una dottrina nuova, né istituisce una pratica religiosa differente, né propone liturgie suggestive, né fonda accademie teologiche, né impone un supplemento di comandamenti, che, anzi, finirà per ridurre questi ad un solo precetto, più facile da ricordare anche da chi è debole di memoria: amatevi come io vi ho amato. In ciò consiste il regno che egli annuncia. E, per essere sicuro che i suoi l’abbiano capito, si premurerà di specificarlo anche meglio ai discepoli: guarite i malati e ditegli: questo è il regno (cf Lc 10, 9). Dio è questo grande medico che non sa più da che parte girarsi, nello sterminato ospedale del mondo, per guarire tutti i malati. A lui importa che nessuno sia privato del diritto alla felicità, il resto gli interessa poco o nulla. Compreso e soprattutto se stesso. Noi, come chiesa, almeno questo dovremmo capire: Dio non vuole aumentare il numero dei suoi fedeli (o, beninteso, se aumentano, sono anche i benvenuti, purché si diano da fare per gli altri, non si limitino a scaldare i banchi in chiesa), Lui vuole aumentare il numero dei guariti. Ed è per vedere realizzato questo sogno, che il suo Figliolo, che lo rappresentava così bene in terra, si è disposto a morire e, per così dire, ad andare in pensione – il significato dell’ascensione è questo: lui, ora se ne poteva anche andare, sapeva, infatti, o credeva, di aver messo il Regno in un discreto numero di buone mani. Di gente che aveva assunto come unica preoccupazione quella di essere le buone mani di Dio: la Chiesa (ma non solo). Il fatto è che noi ogni tanto ce lo scordiamo e finiamo per fare tutt’altro. Magari anche con creatività e risultati invidiabili, ma altro da ciò che Lui si aspetta.
Il calendario ci porta oggi la memoria di Cosma e Damiano, medici e martiri del 3° secolo, e quella dei Martiri di Timor Est.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro dei Proverbi, cap.30, 5-9; Salmo 119; Vangelo di Luca, cap.9, 1-6.
La preghiera del mercoledì è in comunione con tutti gli operatori di pace, quale che ne sia il cammino spirituale o la filosofia di vita.
E, in tema di Kippur, nel congedarci, scegliamo di proporvi un brano del discorso tenuto dal rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, nel Tempio Maggiore di Roma, alla conclusione del Kippur 5770, tratto dal sito di Torah.it. Che è, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Che cosa significa proclamare con la folla D[io] Re? Non lo è già? Ha bisogno di noi? Dobbiamo renderci conto che in questa proclamazione si nascondono alcuni messaggi fondamentali e rivoluzionari che l’ebraismo ha portato al mondo. Se Lui è il Re, non ci sono altri re oltre a Lui. Se Lui è il Re, noi siamo i suoi sudditi, i suoi servi. Se siamo i suoi servi non siamo i servi di nessun altro. Siamo liberi. Se Lui è il Re, in quanto creatore dell’Universo e dell’umanità, gli esseri umani sono creati a Sua immagine. E questo significa che ogni essere umano ha la sua dignità e che la sua vita è sacra. Libertà e sacralità significano responsabilità e moralità, rispetto della legge e del diritto, rifiuto della violenza. Se il mondo “civile” condivide buona parte di questi principi è perché è stata la nostra fede e la nostra tradizione a insegnarli. Tutto quello che abbiamo letto nei nostri libri di tefillà in questa giornata, da Isaia a Jonà alle numerose preghiere e poesie, ribadisce queste idee essenziali. Molte idee fondamentali che guidano e elevano la civiltà sono un nostro prodotto, un nostro contributo irrinuciabile. […] Se tutto questo è vero, come lo è, non possiamo nasconderci una grande difficoltà: il fatto che l’ebraismo sia esigente. Per realizzare gli obblighi della nostra religione ci vuole una continua attenzione, tutta la vita è controllata, c’è una lunga e complicata serie di regole da rispettare. Non sarebbe meglio, più comodo e più semplice se ci fossero meno regole? […] Questa sera siamo qui e altrove raccolti in moltitudini mai viste, come mai in altri momenti dell’anno, e siamo già alla 23a ora di digiuno assoluto e preghiera continua. Se non ci fosse tanto rigore, anche se probabilmente non tutti lo rispettano, qua non ci sarebbe tanta gente. La conclusione su cui bisogna pensare è che le cose che valgono di più sono quelle che esigono di più; è vero per lo studio, per il lavoro, per lo sport come è vero per le cose spirituali. Se l’ebraismo fosse stato più semplice, sarebbe già scomparso. È difficile, è esigente, ma se non fosse stato così non avrebbe trasformato il mondo. Il nostro Re esige da noi grandi cose. (Riccardo Di Segni, Discorso pronunciato nel Tempio Maggiore di Roma alla conclusione del Kippur 5770).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.