Carissimi,
“Detto questo, soffiò e disse loro: Ricevete lo Spirito Santo” (Gv 20, 22). Il Vangelo non racconta l’evento che celebriamo oggi. Racconta invece questa Pentecoste privata, che accadde lo stesso giorno di Pasqua, tra Gesù e i discepoli. Noi stamattina, nella chiesa del monastero, non si doveva essere un numero maggiore del gruppetto sparuto di discepoli, che se ne stavano al chiuso in quella prima domenica di risurrezione (ma per loro era ancora una domenica qualunque). E le persone lì riunite, siamo convinti che, in buona parte almeno, somigliassero molto a questi, anche tipologicamente. Gente della periferia (come lo erano quei galilei che Gesù, non possiamo dimenticarlo, si era scelto), senza la cultura dei signori, i beni dei signori, il buongusto dei signori, e persino la religione dei signori. Tutto un po’ messo assieme, come si riesce, quando si riesce. Il resto della città, a quell’ora, assiepava la cattedrale. Come, a quel tempo, in quei giorni di Pesach, la gente avrà affollato il Tempio. Ma Gesù non si rivela nel Tempio. E sì che sarebbe stato tutto píù fruttuoso e semplice, anche per noi. Di un miracolone così ne avrebbero parlato persino i libri di storia. E, invece no, chi ci vuol credere ci creda. I suoi, del resto, ce l’hanno messa tutta per non credere, o per credere alla loro maniera; poi, però, alla fine, hanno dovuto cedere e, soprattutto, hanno dato buona prova. Dunque, arriva Gesù, a porte chiuse (le loro e le nostre), senza grandi liturgie (quelle, le inventeranno in seguito, per mancanza di fantasia), e come prima cosa gli dice: facciamo pace! È tutto finito, passato, scordato. Poi gli mostra le mani e il costato, come a dire: che prezzo, ragazzi! Vi sfido a dirmi che non vi ho voluto bene. Ma, pace, facciamo pace. Voglio che siate come me, figli e figlie del Padre. E soffia, come aveva visto fare dal Padre, all’inizio di tutto, quando, dopo aver plasmato l’uomo con polvere del suolo, “soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente” (Gen 2, 7). Quel soffio è il suo Spirito ed è lo Spirito del Padre che aveva fecondato Maria e che poi era sceso su di Lui nel battesimo. Ed ora Lui ce lo iniettava dentro. Altrove, quel soffio, Gesù l’aveva chiamato Paraclito, il Consolatore (Gv 14, 16. 26; 15, 26): la consolazione designa così l’attuazione dello Spirito. Paolo scriverà: “Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione! Egli ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio” (2Cor 1, 3-4). Nella lingua della Bibbia, “consolare” (nhm) esprime ciò che noi, oggi, chiamiamo il “principio della cura”, che traduce la disponibilità e la presenza personale di uno nei confronti dell’altro. È un’azione che ha la sua origine in Dio, ma che subito si trasforma nel nostro stesso agire. Tutto ciò non è diverso dal mandato che Gesù affida ai discepoli: “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi” (Gv 20, 23). Con un’aggiunta che merita la nostra attenzione: “a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”. Questo non significa che sarebbe moralmente indifferente per noi il fatto di perdonare o meno, di consolare o no. Non possiamo dimenticare che il Vangeloci impone di perdonare sempre, arrivando a fare di ciò la condizione per ricevere il perdono. L’affermazione vuole allora sottolineare la nostra responsabilità: se il mondo va male, se la società non è quella che ci piacerebbe che fosse, se il creato è minacciato, la colpa non è di un destino cinico e baro, o di una qualsiasi altra forza ingovernabile, esterna a noi, o, meno ancora, di Dio; ma deve essere ricercata dentro di noi e tra di noi, nei meccanismi perversi generati dalla nostra sete di potere, dal nostro desiderio di affermarci gli uni contro gli altri, o ancora da questa esagerata cura di sé, che ci imprigiona in un solipsismo triste e senza riscatto. Pentecoste: festa della responsabilità dell’essere umano, chiamato a relativizzare tutto davanti a Dio e alla promozione del suo Regno, secondo la grande lezione di Paolo: “Non ritengo la mia vita meritevole di nulla, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù Cristo, di rendere testimonianza al messaggio della grazia di Dio” (At 20, 24). Se siamo coraggiosi, facciamoci sotto.
A cinquanta giorni dalla Pasqua la Chiesa celebra la solennità di Pentecoste, in cui si fa memoria della discesa dello Spirito Santo sugli apostoli riuniti in preghiera “insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di lui” (At 1, 14). È anche celebrazione del segreto lavorio dello Spirito in tutti coloro che si arrendono all’Evangelo del Regno, lo annunciano e lo testimoniano.
I testi che la liturgia propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.2, 1-11; Salmo 104; Lettera ai Romani, cap.8, 8-17; Vangelo di Giovanni, cap.20, 19-23.
La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.
Il nostro calendario ecumenico porta oggi le memorie di Medgar Wiley Evers, martire della lotta nonviolenta degli afroamericani, e di Enmegahbowh, primo prete e missionario indiano d’America.
È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una “Invocazione allo Spirito Santo”, tratta dagli “Inni” di San Simone il nuovo teologo. Che è, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Vieni, luce vera. / Vieni vita eterna. / Vieni, mistero nascosto. / Vieni tesoro senza nome. / Vieni realtà ineffabile. / Vieni persona inconcepibile. / Vieni, felicità senza fine. / Vieni, luce senza tramonto. / Vieni, risveglio di chi dorme. / Vieni, risurrezione dei morti. / Vieni, o potente, che sempre fai e trasformi le cose col tuo volere. / Vieni, invisibile, intangibile e impalpabile. / Vieni, tu che sempre rimani immobile, / e ad ogni istante ti muovi e vieni a noi / addormentati negli inferi, tu che sei sopra i cieli. / Vieni, nome diletto e ovunque ripetuto, / di cui non possiamo esprimere l’essere / né conoscere la natura. // Vieni, gioia eterna. Vieni corona incorruttibile. / Vieni, porpora del grande re nostro Dio. / Vieni cintura cristallina e costellata di gioielli. / Vieni destra sovrana. / Vieni, tu che hai desiderato la nostra povera anima. / Vieni tu il Solo verso chi è solo. / Vieni tu che mi hai separato da tutto / e fatto solitario in questo mondo. / Vieni, tu diventato in me desiderio. / Vieni mio soffio e mia vita. / Vieni, consolazione della mia povera anima. / Vieni, mia gioia, mia gloria, mia delizia senza fine. // Ti ringrazio d’essere sceso a diventare / un solo spirito con me, senza confusione, / senza mutazione, senza trasformazione, / tu il Dio al di sopra di tutto, / e d’esserti fatto a tutti cibo ineffabile e gratuito / che senza fine straripi inesauribilmente / e zampilli alla fonte del mio cuore. // Grazie per esserti fatto per me luce senza tramonto, / sole senza declino, perché non hai dove nasconderti, / tu che riempi l’universo della tua gloria. / Siamo noi invece a volerci nascondere da te. // Vieni Signore, pianta oggi in me la tua tenda ; / costruisci la tua casa e rimani eternamente / inseparabilmente in me, tuo servo, perchè alla fine anch’io mi ritrovi in te / e con te regni, Dio al di sopra di tutto. // Conservami incrollabile nella fede, e vedendoti, / io che son morto, vivrò ; e possedendoti, / io il povero, sarò sempre ricco più di tutti i re ; / e mangiandoti e bevendoti, vestendomi di te, vada di delizia in delizia : / tu sei il vero bene, la vera gloria, la vera gioia ; / a te appartiene la gloria, / o santa, consustanziale e vivificante Trinità, / ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen // (San Simone nuovo teologo, Invocazione allo Spirito Santo) .
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.