Carissimi,
“Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore” (Gv 15, 9). Aveva detto: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto” (v. 5), ed ora spiega come restare in lui: osservare i suoi comandamenti. E noi, a sentire questo, si entra subito in agitazione. Dato che siamo abituati a ripeterci che, in amore, non si può comandare, né proibire, un bel nulla. Ma, niente paura, perché il comandamento afferma semplicemente: Se vuoi davvero sapere cosa significa amare (e, perciò, essere felice, pienamente felice, e fare felici gli altri), ama come io ti ho amato. Dando tutto te stesso. Nel pomeriggio, alla chácara di recupero, meditando questo Vangelo, ci dicevamo che noi, probabilmente non arriveremo mai a capire la sofferenza e l’angoscia provata da Gesù sulla croce, di fronte all’evidente fallimento che segnava i suoi ultimi momenti, alle sue attese mancate, alla radicale incomprensione e al disincontro tra lui e i suoi, più ancora che quella scontata nei confronti dei rappresentanti del potere. Eppure, in una maniera a noi altrettanto incomprensibile, quei momenti dovevano essere percorsi da un’intima felicità, quella derivante dall’obbedienza alla Parola del Padre, che dice che l’amore, per essere tale, deve essere portato alle estreme conseguenze. E anche dalla felicità che un giorno i “suoi” l’avrebbero saputo e capito. Quando abbiamo chiesto ai nostri amici della chácara chi di loro avesse già dei figli (e, benché giovani, quasi tutti ne hanno almeno uno), e se, di fronte a un pericolo di vita che essi potessero correre, non sarebbero disposti a sacrificare la loro, beh, a più d’uno sono luccicati gli occhi, ed era una risposta assai più palese di ogni loro sì. Questo è il comandamento di Dio che lo Spirito ci scrive dentro e che noi chiamiamo semplicemente amore. È da lì che dobbiamo ripartire per coniugarlo poi in ogni altra relazione e situazione. Gesù, che è il Figlio, di cui siamo chiamati ad essere fratelli, ci è riuscito, proprio nel suo fallimento, nei confronti di amici e nemici. Noi. Noi si ha persino paura a dirlo. Ma ci riusciremo.
Il calendario ci porta oggi è memoria di Filippo Neri, il prete dell’allegria, di don Cesare Sommariva, “don Cece”, maestro e preteoperaio, e di Abd el Kader, mistico islamico.
I testi che la liturgia odierna propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.15, 7-21; Salmo 96; Vangelo di Giovanni, cap.15, 9-11.
La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene
Su don Cesare Sommariva, ci scriveva quest’oggi un’amica di Milano: “Oltre ad ammirare l’instancabile ricerca di quest’uomo, capace di andar sempre ‘oltre’, senza paura, mi veniva da pensare che tutto questo è avvenuto nella diocesi ambrosiana, in un periodo in cui si sono succeduti più arcivescovi e, se questo è stato possibile, vuol dire che la nostra chiesa di Milano è ancora ben viva. Lo stesso card. Tettamanzi che, quando è arrivato non sapevamo bene come avrebbe operato, si è rivelato sempre più una voce forte e autorevole, capace di esprimere al meglio il sentire di una comunità ecclesiale, ma anche di una parte della società civile, che, iniseme, intendono riaffermare il valore e la bellezza del “farsi prossimo”, come principio non negoziabile. Sono certa che questo sta contribuendo alla rinascita di Milano che, anche con queste elezioni, sembra profilarsi all’orizzonte. Speriamo ne tengano conto a Roma nella nomina del prossimo pastore”. Il che ci trova completamente d’accordo.
Per stasera è tutto. Noi ci si congeda con un’ultima citazione di Don Cesare Sommariva, tratta dal suo “L’umano educatore”. Che è, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Dicesi umano educatore colui che sa stabilire una relazione tra umani, senza paura, senza far paura, liberando dalla paura. Il contenuto della relazione non conta. Quello che conta è una relazione nuova, in cui non ci sia nulla che possa aver a che fare con la paura. In un mondo in cui i poveri sono oppressi, i prepotenti trionfano, i miti sono disprezzati, occorre realizzare relazioni pulite e dolci, non sporche di premi, castighi, obblighi, non seduttive né sdolcinate, ma relazioni in cui ci siano nuovi incontri, nuovi riti, nuovi ritmi. Per questo noi non saremo mai istituzione, / perché ogni istituzione chiede i suoi servi, perché ogni istituzione include ed esclude, e per far questo usa il premio, il castigo ed il sapere. / Tutte cose che provocano la paura di non essere premiato, di essere castigato, di non sapere. / Noi non costruiremo una organizzazione, / noi siamo e saremo solo un investimento di desideri / di liberazione dalla paura. / Il costo di tutto ciò è il pensare, lavorare, muoversi da minoranza, / con tutto quello che ciò significa di impotenza e di libertà. // Di noi non deve rimanere nulla, / al di fuori del ricordo di aver un tempo e per un tempo camminato assieme ricercando libertà e liberazione. / Questo patto fra uomini e donne che si riuniscono per dignità e non per odio, decisi a riscattare la vergogna ed il terrore del mondo. / Nessuno educa nessuno. / Gli uomini si educano fra loro / nella costruzione di un mondo di libertà. / Questo è il punto a cui siamo arrivati. / E lo abbiamo scritto per averlo ben chiaro nel cuore e nella testa. / (Cesare Sommariva, L’umano educatore).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.