Carissimi,
“Le dissero: Donna, perché piangi? Rispose loro: Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto” (Gv 20, 13). Stasera, a casa di dona Margarida, dov’era riunita la Comunità, per una qualche associazione di idee, il pensiero è andato a ciò che è successo l’altro ieri nella chiesetta dell’aeroporto, dove qualche povero ragazzo, forse in preda a una crisi d’astinenza, ha divelto la grata di una finestra, è entrato e ha fatto un po’ di danni. Ha sfondato un armadio, buttato a terra i pochi paramenti che vi erano custoditi, ne ha aperto un altro, prelevandone un vecchio amplificatore e i microfoni; ha spostato poi il tavolo che funge da altare, vi si è arrampicato per rimuovere e portarsi via gli altoparlanti e, infine, ha schiodato dalla parete il tabernacolo, salvo scoprire poi che non c’era dentro nulla che gli potesse servire e abbandonandolo subito fuori dalla porta. La magra refurtiva, la polizia l’ha ritrovata già ieri. Il malcapitato non deve aver trovato nessuno che accettasse di comprarla anche per poco, tant’era malmessa. E, comunque, in tutti noi restava dentro un po’ di amarezza: hanno portato via [quel Pane che è] il Signore! Ma, anche in questo caso, non era lontano. Era li, nel terreno accanto. Solo che stavolta non è stata Maria Maddalena a trovarlo, ma Carmo, il figlio di dona Nady. E il tabernacolo è tornato presto al suo posto. Però la riflessione non si poteva fermare lì. Perché il pericolo è un altro. È che quel pane possa alla fine essere per noi privo di significato come per quel o quei ragazzi. Così come può esserlo la Pasqua. O il nostro dirci cristiani. E allora la nostra chiesa torna ad essere un sepolcro che custodisce un cadavere, dei simboli muti, una comunità inerte. Invece il sepolcro vuoto ci scuote. È Lui che non ci sta a fare il morto. È Lui che ci inquieta, gioca a nascondino: cercami altrove, sembra che dica. Il nostro riunirci in chiesa, o comunque a pregare, deve portarci a constatare che Lui è sempre e ogni volta altrove, presente in ogni pane offerto, in ogni vita donata, in ogni sofferenza del mondo che chiede di essere sanata. E ci chiama, come allora, per nome: Maria. E ogni nostro nome.
Oggi è il Terzo Giorno dell’Ottava pasquale. I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.2, 36-41; Salmo 33; Vangelo di Giovanni, cap.20, 11-18.
La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.
Oggi il nostro calendario ci porta la memoria di Origene, catechista, presbitero e martire, di Albert Peyriguère, contemplativo “berbero tra i berberi”, e di mons. Juan José Gerardi Conedera, martire per i diritti umani in Guatemala.
Ci siamo dilungati anche troppo. E faremo anche di più, congedandoci, con questa poesia di Dom Pedro Casaldáliga dedicata al Buen Pastor Gerardi, che è per oggi il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Venivi dal Quiché, dal Quiché martire; / dalla terra devastata; / dai molti esili del tuo Popolo; / da una lunga agonia di silenzi e attese; / dagli alti vulcani, compressi / di indignazione profetica… // Volevi “costruire un paese altro”, / sognavi una nuova Verapaz. / “La costruzione del Regno comporta rischi”, / lo sapevi molto bene, e tuttavia vivevi / i diritti umani come sogni divini; / con la tua sete di giustizia vera; / nella tua opzione per le vittime, che sono anche i poveri. // Venivi libero e forte, temprato nell’Evangelo, / vestito di una casacca popolare, / con buon umore chapin, / Juanito, monsignore, saggio e corretto / come un patriarca maya. // Hai alzato la tua voce in Parlamento / e nei fori mondiali, / e il rapporto del REMHI e della ODHA / raccoglievano finalmente la voce silenziata, / la verità della Storia. / Sentinella della notte e dell’aurora, / pastore di un Popolo insonne, / la pace aveva bisogno della firma del tuo sangue / e tu l’hai data, totale, limpida e bella / come un calice di Pasqua. // Ti ruppero gli occhi, perché videro / il massacro di un Popolo; / la conchiglia dell’udito che ne accolse il clamore interminabile; / la bocca profetessa che gli ha restituito il canto… / Però nel tuo volto, dilaniato dall’odio, come in un velo collettivo della Veronica, / sono riapparsi tutti i volti morti, / viventi per sempre! / Le colonne madri della nostra cattedrale / hanno posto al sole di Dio e della Storia / i nomi segnati dal sangue dell’Agnello. / E il 26 aprile è diventata una data miliare, / alleluia pasquale di marimba e garofani, / kairós di libertà nella Chiesa e nella Patria. / La pietra che frantumò il tuo corpo consacrato / ti fece pietra angolare della memoria viva. // Faremo verità della memoria / e “questa verità sarà che non dimenticheremo”. / Ci sarà perdono, ma non dimenticanza. / Abbiamo giurato: “Guatemala: Mai più!” / Mai più dittature né massacri, / né paure suicide, né complici silenzi. / Sempre più Guatemala, libero, indigeno, fraterno! / E maturerà il mais della giustizia maya, / fiorirà la pace nelle orchidee / – bianche di luce, dimore della memoria – / e il volo del quetzal ricamerà l’utopia. // La tua morte / buon pastore, non è stata invano. / Guidati dal tuo esempio, noi continueremo / forgiando la verità e la giustizia, / prestando voce al canto ammutolito, / dando speranza al Popolo in cammino, / dando la vita al Regno dei poveri. / Le ombre del potere e la menzogna / pretendono di offuscare, invano, / la grazia della tua gloria. / Tu sei già in piena Luce, in vera Pace, / e sei la Chiesa viva, il nuovo Guatemala! / Nulla cancellerà dalla memoria / la tua memoria, Gerardi. (Pedro Casaldáliga, Al buen pastor Gerardi, mártir de la memoria).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.