Carissimi,
“Gesù disse loro: Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre: per quale di esse volete lapidarmi? Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre” (Gv 10, 31. 37-38). Dal Vangelo di ieri a quello di oggi sono passati circa due mesi, quanti ne separa Hanukkah, la festa della Dedicazione del Tempio, che inizia il 25 del mese invernale di Kislev, da quella di Sukkoth, la festa delle Capanne, che comincia il 15 del mese autunnale di Tishri. Anche in questo caso, Gesù prende forse spunto da una delle letture proprie della Festa, quella del libro dei Numeri, in cui si parla della consacrazione della Dimora e dell’altare (Nm 7, 1- 8, 4), per dire della sua, di consacrazione (v. 36). Non per contrapporsi a quella, ma per dirne il significato più vero; la costruzione materiale per significare quella formata dalle “pietre vive” (1Pt 2, 5) di quanti compiono le opere del Padre (Gv 10, 38). Il tutto in una controversia tra Gesù e le autorità religiose, ansiose di sapere chi sia o chi pensi di essere Gesù? “Non tenerci sulle spine, gli avevano detto infatti, se sei il Messia, diccelo apertamente” (Gv 10, 24). Gesù, a dire il vero, non è mica molto entusiasta di quel titolo, sa a quanti equivoci si presti, quale carica di violenza, “sacra”, naturalmente, possa comportare. Per questo, risponde: “Sì, ve l’ho detto, ma non mi credete”. Ma aggiunge anche subito: “Le opere che compio in nome del Padre mio mi danno testimonianza” (v.25). Del tipo di messia che sono. E quelli tornano alla carica: sì, ma a te non basta dirti messia, tu ti fai Dio. E Lui: la Bibbia dice che siamo tutti figli di Dio, vorrete negare questo titolo a me, che dal Padre sono stato scelto e consacrato? Non era poi una pretesa così grande: scelti e consacrati erano stati anche Mosè, Geremia, i sacerdoti, i re, i profeti. Se, comunque, non volete credere a me, non m’importa niente, l’importante è che crediate alle mie opere. E le facciate vostre. E per tutta risposta, cercarono di catturarlo, come, poco prima, avevano cercato di lapidarlo. In nome di Dio, ovviamente. Come spesso si uccide, in nome di Dio. È successo anche la notte passata con Vittorio Arrigoni, per mano di un pugno di fanatici. Ma non mettiamoci troppo tranquilli noi. Ciascuno ha il dio che si sceglie, l’assoluto, per cui si è disposti, se “necessario” a uccidere (mentre Gesù si è disposto a morire). Il più delle volte per interposta persona (o interposto sistema). Senza, se possibile, spargimento di sangue. Perché, almeno, non ci si sporca le mani. Di volta in volta: il Potere, il Profitto, la Sicurezza, l’Ideologia, la Razza, la Patria, lo Stato, la Classe, il Partito, la Ragione, la Religione, la Civiltà, la Scienza, la Tecnica. Ognuna di queste cose può diventare il nostro Moloch, sull’altare del quale sacrificare tutte le vittime necessarie al suo culto, alla sua affermazione, al suo trionfo. Di Vittorio Arrigoni ci siamo annotati ciò che ne ha detto la madre, Egidia Beretta: “Ripeteva sempre: restiamo umani anche nei momenti più difficili, e io alle volte gli chiedevo: come si fa a restare umani in certi momenti? E lui rispondeva: perché, nonostante tutto, l’umanità deve esserci sempre dentro di noi e dobbiamo portarla agli altri”. Questa mamma ha poi aggiunto a titolo di messaggio rivolto a quanti mettono (e ai molti di più che sogniamo vorranno mettere) la loro vita al servizio degli altri: “Direi loro di non perdere mai il coraggio e di avere come obiettivo non la propria realizzazione personale, ma lavorare per gli altri, soprattutto per i più sfortunati come faceva Vittorio”. In questo, poi, consistono le opere di Dio.
Di uno che ha scelto di lavorare per gli altri, facciamo oggi memoria: Damiano di Molokai, prete, missionario e martire della carità.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Geremia, cap.20, 10-13; Salmo 18; Vangelo di Giovanni, cap.10, 31-42.
La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.
PENSIERO DEL GIORNO
È finita. Abbiamo giudicato Dio e l’abbiamo condannato a morte. / Non vogliamo più Gesù Cristo con noi, perché ci disturba. / Noi non abbiamo altro re che Cesare! Né altra legge che il sangue e l’oro! / Crocifiggetelo, se volete, ma liberatecene! Portatelo via! / Tolle! Tolle! Dato che si deve, lo si sacrifichi e ci lascino Barabba! / Pilato siede nel luogo chiamato Gabbata. / “Non hai niente da dire?”, chiede Pilato. E Gesù non risponde. / “Io non trovo nessuna colpa in quest’uomo”, dice Pilato, ma bah! / Che muoia, dato che ci tenete! Io ve lo consegno. “Ecce homo”. / Eccolo, la corona sul capo e la porpora sulle spalle. / Un’ultima volta verso noi quegli occhi pieni di lacrime e di sangue! / Che ci possiamo fare? Non c’è modo di tenerlo con noi a lungo. / Così com’era pietra d’inciampo per i giudei, anche tra noi è solo un nonsenso. / La sentenza d’altronde è già stata emessa, non le manca niente, in lingua ebraica, in greco e in latino. / E si vede la folla che grida e il giudice che si lava le mani. / Gli rendono i vestiti e gli portano la croce. / “Salve, dice Gesù, o Croce, che così a lungo ho desiderato!” / E tu, cristiano, guarda e fremi! Ah, che momento solenne / questo in cui il Cristo, per la prima volta, accoglie la croce eterna! / O compimento, in questo giorno dell’albero del Paradiso! / Guarda, peccatore, e vedi a cosa è servito il tuo peccato. / Mai più un crimine, senza un Dio sopra, e mai più croci senza Cristo! / Certo la disgrazia dell’uomo è grande, ma noi non abbiamo niente da dire, / perché Dio è ora soprattutto colui che é venuto non a spiegare ma a compiere. / Gesù riceve la Croce come noi riceviamo la Santa Eucaristia: / “Noi gli diamo il legno in cambio del suo pane”, come dice il profeta Geremia. / Ah, com’è lunga la croce, smisurata, gravosa! / Com’è duro, rigido, schiacciante, il peso del vano peccatore! / Quanto è lungo da portare, passo dopo passo, fino a morirci sopra! / Lo porterai tutto solo, Signore Gesù? / Rendi pure me paziente davanti al legno che vuoi che io sopporti. / Perché bisogna che portiamo la croce, prima che la croce ci porti. (Paul Claudel, Le chemin de la Croix, I-II).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.