Carissimi,
“Gesù, passando, vide un uomo cieco dalla nascita” (Gv 9, 1). Stamattina, ci si è ritrovati nella chiesa del Monastero e, dato che, di preti in città, ce n’è pochini, capita che, una volta o l’altra, non si trovi chi venga a presiedere l’Eucaristia. Così è successo anche da noi, oggi. Comunque, la celebrazione della Parola è venuta ugualmente bene. Perché, quel che importa è che c’era Lui. E noi, nella parte del cieco. Ciechi dalla nascita, siamo, per condizione umana. E ci sono tanti, ciechi come e anche più di noi, che vorrebbero mantenerci così, in modo da sbagliare, non sappiamo quanto consapevolmente, loro, e farci sbagliare pure noi. Un po’ come succedeva con i farisei del racconto che hanno la faccia di tolla di chiedere a Gesù: Siamo forse ciechi anche noi? E Gesù ha ragioni da vendere a rispondergli: Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane (Gv 9, 40-41). Se non avessero detto niente (come anche il cieco se n’era stato zitto), forse avrebbe aperto gli occhi pure a loro. Ma, cos’è in definitiva che non vediamo e che dovremmo vedere? Stamattina due cose ci hanno colpito nelle parole di Gesù. La prima, quando Lui dice: “Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo” (v. 5). È Lui, la Parola che Lui manifesta, la luce del mondo. È Lui che definisce, nel suo agire, di cui la Chiesa ci ha trasmesso la memoria, quelli che oggi, con espressione alla moda, sono detti i valori non negoziabili (che hanno, però, nulla a che fare con quelli normalmente citati). E sono il servizio, l’opzione per i poveri, la cura e l’accoglienza degli ultimi, la condivisione del beni, il dono di sé. E la seconda, che richiama la prima, è la domanda che lui pone all’ex-cieco (una sorta di verifica per accertarsi di averlo guarito per davvero): “Tu credi nel Figlio dell’uomo?” (v.35). Che, poi, è l’uomo con la U maiuscola, l’uomo adulto, che ha recuperato la sua figliolanza divina. Ed è la conclusione di quello che è un vero e proprio cammino battesimale. Iniziato con l’azione autonoma della grazia: il fango impastato con la saliva che Gesù aveva applicato sugli occhi, una nuova creazione, a cui segue la risposta del cieco che è mandato a lavarsi alla piscina dell’Inviato, il gesto con cui decidiamo di sottrarci all’ideologia dominante del potere (e dei suoi chierici), per finire con questa professione di fede: Credo, Signore! (v. 38). E qui possiamo davvero riascoltare le parole dell’Apostolo: “Fratelli, un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità” (Ef 5, 8-9).
I testi che la liturgia di questa 4ª Domenica di Quaresima propone alla nostra riflessione sono tratti da:
1º Libro di Samuele, cap. 16, 1. 6-7. 10-13; Salmo 23; Lettera agli Efesini, cap.5, 8-14; Vangelo di Giovanni, cap. 9, 1-41.
La preghiera della domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.
Oggi noi si fa memoria di Jean Goss, profeta di pace e di nonviolenza, e di Aristides de Sousa Mendes, cristiano adulto, giusto tra le nazioni.
La vicenda di José de Sousa Mendes ci porta a chiederci chi, alla fine, risultò fedele al Vangelo, se la gerarchia ecclesiastica che appoggiava incondizionatamente il regime di Salazar, ed imponeva quindi ai cattolici di adeguarsi alle sue disposizioni, o il nostro console (e quant’altri nelle più diverse situazioni) che si giocò la carriera, i beni, la vita, insomma, disobbedendo al suo gioverno e ai suoi vescovi. E quali siano stati i “valori non negoziabili” di questi e di quello. Ce lo chiediamo, leggendo sull’Avvenire di ieri la cronaca dell’intervento del card. Ruini al convegno della Rete Italia, che riunisce i cattolici di fede berlusconiana. E siamo andati a ripescare una lettera scritta da Carlo Carretto nel 1975, in risposta ad un attacco di don Sandro Maggiolini (in seguito vescovo ed editorialista del giornale della famiglia Berlusconi), che l’accusava, con la posizione assunta sul referendum per il divorzio, di minare l’unità politica dei cattolici. Quella che Ruini sognerebbe forse di restaurare, ahivoi, sotto le bandiere dell’attuale premier. Nel congedarci, vi proponiamo un brano di quella lettera, come nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Mi sento di sostenere che dalla nostra assemblea cristiana devono essere escluse tutte quelle opzioni culturali, politiche, sociali capaci di rompere la comunione tra di noi. I drammi di Mazzolari e Milani dovrebbero averci insegnato qualcosa. Non può un vescovo o una congregazione romana chiedere ad un prete la comunione su una scelta politica o sul modo di vedere una legge civile. Non può un sacerdote dimostrare di non essere in comunione perfetta con un suo fedele che vota socialista o cose del genere. Facendo così è lui che rompe la comunione, non il suo suddito. Le sofferenze ed i pericoli che corriamo dovrebbero avere insegnato alla comunità cristiana a cercare la comunione, quella vera, sulle cose indiscusse della fede. Ci convochino i nostri vescovi sulla eucaristia. Ci convochino sul Vangelo, sul primato dei poveri, sulle beatitudini, sul servizio, sulla resurrezione del Signore! Non ci convochino sul dubbio che sia la terra a girare attorno al sole o ciò che è peggio per comunicarci che dobbiamo obbedire nella fede a cose opinabili che con la fede non hanno nulla a vedere. Insomma la comunione nella chiesa non è sulle idee dei singoli ma sulla fede. (…) Ma possibile che la sete di disciplina ecclesiastica possa superare quella della fedeltà al Vangelo e che le bugie possano essere considerate utili alla compagine della comunità cristiana? Caro Sandro, puoi citarmi un solo esempio in Italia in cui un vescovo abbia avuto il coraggio cristiano di chiedere perdono per i suoi sbagli davanti ai suoi fedeli reintegrando nei diritti sacerdotali un suo suddito che aveva dissentito da lui su… piani non di fede? (…). No, Sandro, sento nelle tue righe troppa paura, che è la paura della Chiesa per quel dissenso che lei stessa accresce con la sua intransigenza su piani non di fede. La chiesa non ha bisogno che la difendiamo in quel modo. La chiesa non è cosa nostra. (…) fratel Carlo (Carlo Carretto, Lettera a don Alessandro Maggiolini, in Adista n.459-460-461, settembre 1975).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.