Carissimi,
“Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: Dammi da bere” (Gv 4, 5-7). Noi avevamo cominciato a meditare il vangelo di oggi ieri pomeriggio all’incontro di Fé e Luz, su al Centro Comunitario del bairro. E abbiamo continuato stamattina, nella chiesetta dell’Aparecida, dove il prete si è scordato di arrivare. Ma non fa nulla. E ci siamo detti, sia ieri che oggi: facciamo conto di essere noi quella donna. Ciascuno(a) di noi, con nome e cognome, e noi tutti insieme come chiesa, o anche come società. Lei era una donna mezzo pagana, proprio come noi (anche la Chiesa) si continua ad essere. Sempre con qualche marito di troppo. Cinque mariti, lei, cinque ba‘alim (che in ebraico significa “padroni”, o anche “idoli”, come spesso sono ancora, di volta in volta, i mariti), più uno con cui non si era ancora seriamente impegnata. E chissà che fosse quello giusto. Noi ci si chiedeva quali siano gli idoli che ancora ci dominano, che hanno in mano le redini della nostra vita, che ci strappano agli appuntamenti dell’amore e della solidarietà, che ci rinchiudono in noi stessi. Noi, lo ripetiamo, come individui, come chiesa, come società. Beh, quali che siano (ciascun o sa bene i suoi), Dio ce ne vuole liberare. Non a caso, Lui non vuol essere chiamato ba‘al (marito, padrone, idolo), preferisce essere chiamato ishi (Os 2, 16), che è meu homem, “mio uomo”, come un tempo, anche lì da voi, si diceva “el mè om”. Che suona meno istituzionale e con un tocco di tenerezza in più. Volendo, potremmo renderlo anche con meu bem, meu velho. Che non comanda più, ma è semplicemente qui, per me, per noi, per tutti. E, se noi si imparasse da Lui, non si avrebbe piu sete, non si andrebbe più ad attingere a mille pozzi diversi. Saremmo noi i pozzi. Gesù, torna e converti questa tua chiesa ostinatamente samaritana, dai troppi mariti. Falla solo tua. Facci solo tuoi, tue.
I testi che la liturgia di questa 3ª Domenica di Quaresima propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro dell’Esodo, cap. 17,3-7; Salmo 95; Lettera ai Romani, cap. 5,1-2.5-8; Vangelo di Giovanni, cap. 4, 5-42.
La preghiera della domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.
Oggi facciamo memoria di Meister Johann Eckhart, teologo e mistico.
Una e-mail della nostra amica Glória, che ci è arrivato pochi minuti fa, ci comunica la morte di José Comblin, avvenuta stamattina a Salvador di Bahia. Lo aspettavano per la preghiera, tardava, e non era mai successo. Sono saliti a chiamarlo, l’hanno trovato seduto a tavolino, ma se n’era già andato. Con lui ci lascia (no, resta!) un altro profeta, che era stato pioniere di una nuova stagione della Chiesa. Negli ultimi tempi, con sempre maggiore amarezza, aveva denunciato distorsioni, ripiegamenti, tradimenti, da parte dell’istituzione (la samaritana del Vangelo di oggi, con i suoi idoli) nei confronti del progetto di Gesù. Noi che si crede nella comunione dei santi, sappiamo che continuerà a lavorare.
Per stasera è tutto. Noi vi si lascia ad un brano di José Comblin, tratto dal suo “Vocação para Liberdade” (Paulus). Che è, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
La libertà di Dio consiste nel permettere ed aiutare la libertà del più piccolo tra gli esseri umani. La libertà di Dio reprime il potere. Diventa debole perché possa manifestarsi la forza umana. L’inno di Filippesi 2, 6-11, nucleo della cristologia paolina, esprime questa debolezza di Dio. Dato che l’annichilimento di Gesù include l’annichilimento del Padre: “Svuotò se stesso, assumendo la condizione di schiavo e divenendo simile agli uomini. E trovato in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2, 7-8). Dio nascose il suo potere al punto che le autorità d’Israele non lo riconobbero. È così che Dio si dirige alle persone: senza intimidazione, senza potere, dipendendo dagli esseri umani, consegnando la sua vita nelle mani di criminali. Chi dirà ancora che, in questo modo, Dio fa violenza alle persone? Come ha commentato E. Levinas, l’altro è la sfida della libertà, la provocazione che la desta. Davanti all’altro sono possibili due atteggiamenti: esaminarlo per vedere come mi potrebbe essere utile o qual è la minaccia che rappresenta per me, o, invece, chiedermi che cosa potrei fare per aiutarlo. La libertà di Dio si autolimita. Davanti alla sua creatura, Dio limita la sua presenza. Dio preferisce lasciare che crocifiggano suo Figlio, piuttosto che intervenire per impedire tale ingiustizia. Si tratta di debolezza volontaria. […] Dio diventa debole perché ama. Chi ama di più, è sempre più debole. Non è forse questa la grande caratteristica delle donne? Quasi sempre amano di più e, per questo, soffrono di più. Tuttavia, nel consenso a questa debolezza non starà forse la maggiore libertà? In questa deboilezza la persona vince ogni egoismo, ogni desiderio di prevalere, ogni pigrizia ad accettare maggiori sfide. Esige di più da se stessa, va più lontano, oltre le proprie forze. “Nessuno ha un amore più grande di chi dà la vita per i suoi amici” (Gv 15, 13). Qui c’è anche l’espressione suprema della libertà. La debolezza di Dio arriva al punto di diventare supplichevole. Il versetto preferito dell’indimenticabile teologo latinoamericano Juan Luís Segundo dice: “Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3, 20). Dio bussa alla porta e aspetta. Se non gli si risponde, si allontana e continua la sua strada. Entra solo se lo si invita. Dipende dall’invito della persona. Un Dio che chiede, che supplica. (José Comblin, Vocação para Liberdade).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.