Carissimi,
“Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato” (Mt 25, 41-43). Questo è ciò che potremmo sentirci dire al Giudizio e quindi sarebbe bene che cominciassimo a farne le prove, esaminandoci ogni sera. O che i preti prendessero l’abitudine di domandarci di questo in confessione, più ancora che sui dieci comandamenti. Perché potrebbe succedere che uno, a Lui, si provi anche a raccontarla: guarda, Signore, che io non ho mai bestemmiato, né ucciso, né rubato, né desiderato la donna altrui, né mentito (salvo, forse, un po’, adesso), e poi sono sempre andato a messa la domenica, e non ho mai mancato di fare tutte le mie devozioni. E Lui: lascia perdere, queste sono bazzecole. Dimmi, piuttosto: ti ricordi quel marocchino che hai insultato?, quel senegalese che hai allontanato in malo modo?, quel brasiliano a cui hai dato del viado? quall’albanese a cui hai detto: “siete tutti uguali voi!”?, quel meridionale a cui hai dato del terrone?, quell’omesessuale aggredito, di cui hai sentenziato: “se l’è cercata!”?, o la prostituta liquidata con “è solo una vacca!”? e la zingaro morto “uno di meno!”?. O anche, se non hai insultato nessuno, perché conosci le buone manierte, ricordi il silenzio, l’indifferenza, lo sguardo carico di disprezzo, che hai opposto alla richiesta di aiuto dell’uno o dell’altro? Ero io, sai? In ognuno(a) di loro, io. Ed ora, come la mettiamo? Hai vissuto la vita intera nella menzogna, perché “chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4, 20). Piuttosto imbarazzante, eh? Per leggere invece in positivo questo splendido brano di Vangelo, stamattina, ci siamo serviti di un hadith (una tradizione) risalente al profeta Mohammed, che troviamo citato e commentato nel “Dieu pour tout jour” (Éditions de Bellefontaine) di Père Christian de Chergé: “Un tale, dice il Profeta, rese un giorno visita ad uno dei suoi fratelli in un villaggio. Dio inviò un angelo sul suo cammino: ‘Dove stai andando?’. ‘Vado da uno dei miei fratelli nel villaggio qui vicino’. ‘Gli devi forse qualche favore e pensi così di sdebitarti?’. ‘No, rispose quello, è solo che gli voglio bene in Dio – uhibbuhu fi allah’. ‘Ebbene, disse l’angelo, Dio mi ha mandato a dirti che bi’anna allah uhibbuhu kama uhibtuhu’, Dio, che non ha fratelli, mi ama in se stesso, come io amo in Lui mio fratello (come e non quanto io l’amo, perché Dio è più grande del mio cuore). È in Lui che quell’uomo è mio fratello. In lui, il mio amore per mio fratello e l’amore di Dio per me sono una cosa sola. Lui in te, e tu in me, affinché siamo perfetti nell’unità”. Beh, potremmo farci un pensiero già da ora, no?
Il nostro calendario ci porta oggi le memorie di Fannie Lou Hamer, paladina dei diritti civili dei negri afro-americani, e di Chiara Lubich, promotrice del dialogo interreligioso.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro del Levitico, cap.19, 1-2. 11-18; Salmo 19B; Vangelo di Matteo, cap. 25, 31-46.
La preghiera di questo lunedì è in comunione con le religioni del subcontinente indiano: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.
Anche oggi vi chiediamo di voler mettere nella vostra preghiera – assieme ai grandi bisogni del mondo (come non continuare a pensare, per esempio, al Giappone e alla Libia?) – alcuni amici e amiche che sono alle prese con alcuni problemi di salute: Ennio, Maria Rosa ed Eugenio, di Milano, e Paolo di Crema.
Ed è tutto. Noi ci congediamo qui, lasciandoci ad un brano di Chiara Lubich tratto da “Parola di vita” dell’ottobre 1999, che troviamo in rete, nel sito del Centro Chiara Lubich, e che è, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
L’amore del prossimo è universale e personale al tempo stesso. Abbraccia tutta l’umanità e si concreta in colui-che-ti-sta-vicino. Ma chi può darci un cuore così grande, chi può suscitare in noi una tale benevolenza da farci sentire vicini – prossimi – anche coloro che sono più estranei a noi, da farci superare l’amore di sé, per vedere questo sé negli altri? È un dono di Dio, anzi è lo stesso amore di Dio che “è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato”. Non è quindi un amore comune, non una semplice amicizia, non la sola filantropia, ma quell’amore che è versato sin dal battesimo nei nostri cuori: quell’amore che è la vita di Dio stesso, della Trinità beata, al quale noi possiamo partecipare. Dunque l’amore è tutto, ma per poterlo vivere bene occorre conoscere le sue qualità che emergono dal Vangelo e dalla Scrittura in genere e che ci sembra poter riassumere in alcuni aspetti fondamentali. Per prima cosa Gesù, che è morto per tutti, amando tutti, ci insegna che il vero amore va indirizzato a tutti. Non come l’amore che viviamo noi tante volte, semplicemente umano, che ha un raggio ristretto: la famiglia, gli amici, i vicini… L’amore vero che Gesù vuole non ammette discriminazioni: non distingue tanto la persona simpatica dall’antipatica, non c’è per esso il bello, il brutto, il grande o il piccolo; per questo amore non c’è quello della mia patria o lo straniero, quello della mia Chiesa o di un’altra, della mia religione o di un’altra. Tutti ama quest’amore. E così dobbiamo fare noi: amare tutti. L’amore vero, ancora, ama per primo, non aspetta di essere amato, come in genere è dell’amore umano: si ama chi ci ama. No, l’amore vero prende l’iniziativa, come ha fatto il Padre quando, essendo noi ancora peccatori, quindi non amanti, ha mandato il Figlio per salvarci. Quindi: amare tutti e amare per primi. E ancora: l’amore vero vede Gesù in ogni prossimo: “L’hai fatto a me” ci dirà Gesù al giudizio finale. E ciò vale per il bene che facciamo e anche per il male purtroppo. L’amore vero ama l’amico e anche il nemico: gli fa del bene, prega per lui. Gesù vuole anche che l’amore, che egli ha portato sulla terra, diventi reciproco: che l’uno ami l’altro e viceversa, sì da arrivare all’unità. (Chiara Lubich, Parola di vita, ottobre 1999).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.