Carissimi,
“Un uomo piantò una vigna, la circondò con una siepe, scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Al momento opportuno mandò un servo dai contadini a ritirare da loro la sua parte del raccolto della vigna. Ma essi lo presero, lo bastonarono e lo mandarono via a mani vuote” (Mc 12, 1-3). E la parabola continua, dicendo di altri servi inviati, picchiati anche loro, e alcuni persino uccisi. Finché quell’uomo mandò il suo figlio prediletto, pensando: Lui, almeno, lo rispetteranno. Ma uccisero anche lui, per dividersi l’eredità che gli spettava. C’è un modo facile per uscire fuori da questa parabola e dalla sua conclusione francamente urtante: il padrone della vigna “verrà e farà morire i contadini e darà la vigna ad altri” (v.9). Ed è applicarla alla generazione di Gesù. Cosa che, del resto, fa anche, nel suo commento, l’evangelista: “E cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla; avevano capito infatti che aveva detto quella parabola contro di loro” (v.12). Loro, i capi della politica, della religione, i detentori del potere economico, e le loro eminenze grige. Ma, il Vangelo non parla solo di loro. Racconta anche di noi. La vigna è la nostra terra e i suoi beni. La parabola denuncia l’uso che ne facciamo. I servi sono i profeti di ieri e di oggi. Qui da noi, in questo continente (ma anche altrove), ce n’è ancora tanti, grazie a Dio. Bastonati, perseguitati e uccisi. Vuol dire che il Vangelo è preso ancora sul serio. E l’erede, il figlio prediletto, è, sì, Gesù, ma sono anche i poveri, espropriati della loro eredità, dei loro diritti, uccisi poco a poco. Nei quali egli si identifica. Così che è Lui, in loro, ad essere nuovamente crocifisso e a morire. E, detto tra noi, nella polemica che torna ogni tanto costì sulla presenza del crocifisso negli edifici pubblici, si potrebbe forse scegliere di esporre l’immagine di un crocifisso del nostro tempo, un bimbo che muore di fame, un clandestino, magari musulmano, affogato, una donna stuprata, un prigioniero torturato, un vecchio dimenticato all’ospizio. E quant’altro. In attesa di risurrezione. Sarebbe insieme un simbolo religioso e laico, capace di scuotere le coscienze. Di cambiare, chissà, il finale della parabola. O forse no. Dato che la legge è, oggi, sempre più, la durezza del cuore. E non si riesce più a vedere la terra, i suoi beni, la nostra stessa vita, come un dono da condividere, ma ogni giorno di più come una ricchezza da rapinare.
Oggi il calendario ci porta la memoria di Perpetua e Felicita, dello sposo di questa, Revocato, di Saturnino e Secondulo, e del loro catechista, Saturo, tutti martiri a Cartagine. E di Swami Paramahansa Yogananda, mistico indù.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro Di Tobia, cap.1, 3; 2, 1-8; Salmo 112; Vangelo di Marco, cap.12, 1-12.
La preghiera di questo lunedì è in comunione con le religioni del subcontinente indiano: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.
Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una citazione di Paramahansa Yogananda, tratta dal suo “Il Divino Romanzo” (Astrolabio). Che è, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Il più grande amore umano è quello che gli amici provano l’uno per l’altro, perché il loro affetto è libero e puro. Ciascuno di noi sceglie liberamente di amare i propri amici senza essere condizionato dall’istinto. L’amore che si manifesta nell’amicizia può esistere fra uomo e donna, fra donna e donna, fra uomo e uomo. Nell’amicizia non esiste l’attrazione sessuale. Se l’essere umano desidera conoscere l’amore divino attraverso l’amicizia, deve instaurare un rapporto casto e dimenticare completamente il sesso; allora l’amicizia alimenta l’amore divino. Questa amicizia pura è esistita fra i santi e fra coloro che amano veramente Dio. Se conoscerete almeno una volta l’amore divino non vorrete perderlo mai più, perché nell’universo intero non esiste niente di simile. L’amore dà senza pretendere niente in cambio. Io non penso mai agli altri chiedendomi che cosa possono fare per me. E non dimostro mai il mio amore a qualcuno solo perché ha fatto qualcosa per me. Non fingerei mai di amare se non provassi un vero sentimento di amore, e nel momento in cui provo tale sentimento lo manifesto. Ho imparato dal mio Maestro a comportarmi sinceramente. Alcune persone non nutrono nei miei confronti sentimenti amichevoli, ma io sono amico di tutti, inclusi i nemici, perché nel mio cuore non ho nemici. L’amore non si può avere a comando, è un regalo di un cuore a un altro cuore. Siate certi dei vostri sentimenti quando dite a qualcuno: “Ti amo”. Se date il vostro amore, deve essere per sempre, non perché desiderate rimanere accanto a quella persona, ma perché volete la perfezione per la sua anima. L’amore divino, l’amore della vera amicizia consiste nel desiderare la perfezione per la persona che amate, e nel provare un sentimento di pura gioia quando pensate alla sua anima. (Paramahansa Yogananda, Il Divino Romanzo).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.