Carissimi,
“Mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!” (Mc 10, 46-47). Curioso che seu Domingo dell’Asilo (come si chiama qui il ricovero per anziani ma non solo) abbia scelto oggi per andarsene, lui che era cieco. Forse, perché ha sentito che, nel Vangelo, Gesù diceva a Bartimeo: Va’ (v. 52). E lui è andato. No, Domingo non ascoltava il Vangelo, come, forse, non ascoltava o non prestava attenzione a nessuno. Poteva sembrare che semplicemente aspettasse qualcosa, qualcuno, che non arrivava mai. Se ne stava seduto tutto il giorno, con una certa solennità, la testa alta, la schiena dritta, i piedi ben piantati sul pavimento e poteva sembrare un re. Quando Gerson andava a farli cantare, gli uomini dell’Asilo, lui accettava di entrare nella “roda”, con le sedie sistemate in cerchio, ma non ci ricordiamo di averlo mai visto cantare – a cantare era semmai Lery, quando non era di malumore, anche lui cieco – gli altri niente. Qualcuno accompagnava la musica muovendo la testa, o battendo il piede. Domingo, quando Gerson lo incentivava, sbatteva le palpebre, deglutiva, faceva un mezzo sorriso, stringeva le labbra e continuava zitto. Era fratello di João, anche lui all’Asilo, con altre due sorelle, che non parlano mai e sono, come si dice qui, “fracas de cabeça”, deboli di testa. Ed era fratello anche di Maria Divina, vedova di Vantuí e madre di Aparecida e di Marcinho, che abitano invece nel bairro e fanno parte di Fé e Luz. Noi, che Domingo era morto, l’abbiamo saputo solo stasera, a funerale avvenuto. Al pomeriggio eravamo alla chácara di recupero, dove erano solo in quattro, Helison, seu Manoel, Marcelo e Maurício, dato che gli altri sono a casa loro per la settimana di reinserimento. Con loro si era letto l’intero capitolo 10 di Marco, cercando di approfondire il tema della sequela, di ciò che significa, di come dovremmo viverla, di ciò che la ostacola. La vicenda del cieco Bartimeo rappresenta il lieto fine dell’istruzione di Gesù. Un vangelo nel Vangelo. È come se Gesù dicesse ai suoi (quelli che fino a pochi minuti prima si stavano disputando brandelli di potere): Vedete? Quel cieco siete voi. Solo che lui ha il vantaggio di saperlo, di essere cieco, voi no. Lui, perciò, è in grado di pregare la preghiera giusta: abbi pietà! Mentre voi state lì a organizzare la vostra cricca come una piccola impresa lucrativa (e chissà, forse, domani, come una multinazionale). E, comunque, i suoi (anche noi, perciò, se sappiamo osare di esserlo), pur ottusi, testardi, incapaci (come spesso è la chiesa, perché possa testimoniarsi la potenza della grazia), sono il tramite che rende possibile l’incontro tra il cieco che se ne sta seduto, immobile, ai bordi della strada (anche se è convinto di camminare già dietro a Gesù), l’incontro tra lui, dunque, e il Gesù vero, non quello delle nostre fantasie o delle nostre fin troppo facili devozioni. Incontro che ci accomuna alla Sua vocazione, al Suo viaggio, al Suo destino: “Chiamarono il cieco, dicendogli: Coraggio! Àlzati, ti chiama” (v. 49). E, noi, finalmente, pronti a gettare via il mantello delle nostre ipocrisie, delle nostre pratiche abitudinarie, della nostra pigrizia, della nostra irresolutezza, della nostra chiusura in noi stessi, dei nostri peccati, insomma. E a saltare in piedi e a correre da Lui. E Gesù, dal canto suo: “Cosa vuoi che ti faccia? Anche tu cerchi la tua fetta di potere, vuoi un seggio alla mia destra nel regno?”. No, maestro, fammi solo vedere. Solo vederTi. Per seguirti dove Tu vai. Forse anche seu Domingo, seduto cieco immobile per tanti anni, là nel salone dell’Asilo, è stato per noi illustrazione di un pezzo di Vangelo. Fino al giorno in cui deve essersi sentito sussurrare: Va’, egli ti chiama! Ma, noi, quando ci metteremo davvero in cammino?
Il calendario ci porta oggi la memoria di Marino di Cesarea, martire in Palestina.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da :
Libro del Siracide, cap.42, 15-26; Salmo 33; Vangelo di Marco, cap.10, 46-52.
La preghiera del Giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.
A testimoniare la serietà con cui era affrontato il tema dell’obiezione di coscienza al servizio militare richiesta a coloro che, rispondendo all’appello della fede, avevano scelto di seguire il cammino di Gesù, ci sono, tra altri documenti simili, le norme dettate in merito dal canone 12 del Concilio di Nicea, svoltosi nell’anno 325. Di esso, nel congedarci, vi proponiamo un brano. Che è, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Tutti quelli che chiamati dalla grazia diedero sì una prima prova della loro fede, abbandonando il servizio militare, ma, in seguito, ricaddero nel proprio vomito, tanto che taluni offrirono denaro e rientrarono in servizio a forza di donativi, costoro, dopo essere rimasti tre anni nella condizione di ascoltare soltanto la Parola di Dio dall’esterno della chiesa, rimangano fra i penitenti altri dieci anni. Ma anche in tutti questi conviene verificare il proposito e l’impegno di penitenza. Quanti infatti, attraverso l’umiltà, le lacrime, la sopportazione e le buone opere, mostrano con i fatti e non per simulazione la conversione, compiuto il tempo già indicato dell’ascolto della Parola dall’esterno, allora finalmente potranno partecipare alle preghiere insieme con i fedeli e, in seguito, sarà al vescovo consentito di pensare per loro qualcosa di meno severo. Ma coloro che non hanno mostrato vera partecipazione, pensando che potesse bastare per la conversione l’osservanza delle regole per l’ingresso della chiesa, saranno tenuti a fare in ogni modo tutto il tempo prescritto. (Dal Canone 12 del Concilio di Nicea).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.