Carissimi,
“Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà” (Mc 8, 34-35). Nel pomeriggio, alla chácara di recupero, c’è stata la cresima di Marcinho, giunto al termine dei suoi nove mesi di trattamento e pronto a spiccare il volo verso una vita nuova, alla quale, per altro, ha già cominciato ad allenarsi. E si è letto questo Vangelo sulla sequela di Gesù e su ciò che la caratterizza: il rinnegamento di sé, l’assumere la croce, il gettare la propria vita allo sbaraglio (secondo una bella traduzione che ci pare fosse di Ernesto Buonaiuti). Forse la scelta non avrebbe potuto essere più felice. Marcinho ha l’età che dovevano avere gli apostoli, o quella dello stesso Gesù, e deve essere ben consapevole di ciò che significa e comporta la celebrazione di oggi. Come per gli apostoli, non importa mica molto sapere cosa si è lasciato alle spalle – tutti, del resto, ci lasciamo dietro qualcosa, che noi stessi abbiamo o altri hanno pagato per noi in termini di lotte, sofferenze, cadute, delusioni, privazioni, fallimenti – importa ormai solo ciò che lui e noi si ha davanti. Importa, per esempio, la passione che ci ha contagiati per il progetto di Gesù. Questo è anche il significato dell’unzione che accompagna la nostra Confermazione. Veniamo unti, cioè, in qualche modo, già cristificati, nell’assumere e far nostre per davvero le promesse del battesimo. Che sono rese bene dal Vangelo di oggi. Ascoltandolo, noi ci si diceva: bisognerebbe ricordarcene ogni giorno. Noi che così facilmente siamo portati a mollare la presa della croce, per aggrapparci alle “nostra” vita, alle cose, agli idoletti del nostro quotidiano, alle abitudini da cui ci lasciamo trasportare, dalle meno nobili alle più sante (e non c’è poi così tanta differenza, se tutto è in vista di una pretesa affermazione e salvezza di sé). Lui, invece ci insegna e ci mostra il contrario. Ora, con che faccia noi si possa chiedere di assumere un impegno così gravoso a Marcinho, che piange e sorride sulla sua ritrovata innocenza, è un po’ un mistero. Forse è, comunque, e pur sempre, l’ispirazione dello Spirito che ci richiama l’azione della grazia, che si riserva ogni volta l’iniziativa del primo passo, del primo strappo, della prima caduta da cavallo. Poi, basta assecondarla. Senza vergognarci della nostra scelta. Giorno per giorno.
Il nostro calendario ecumenico ci porta oggi la memoria del Beato Angelico, iconografo; e quella di Martin Lutero, riformatore della Chiesa.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Genesi, cap.11, 1-9; Salmo 33; Vangelo di Marco, cap.8, 34 – 9, 1.
La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.
“Dio non vive solo nell’al di là, ma è anche nell’al di qua; non è soltanto Dio, ma anche uomo; non è dominio, autorità e legge, ma avvenimento dell’amore che soffre e ci libera”. Ha sofferto per e liberato Marcinho e soffre per e libera noi. La frase è del teologo evangelico Jürgen Moltmann, di cui vi proponiamo, nel congedarci, un’altra citazione tratta dal suo “Il Dio crocifisso” (Queriniana). Che è, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
“Se non trovassi Dio in Gesù, dovrei considerare Dio il Diavolo”, diceva Zinzendorf alla sua comunità di fratelli, richiamandosi a Lutero: “Tu adori così facilmente il Diavolo, perché se non hai Gesù devi avere un altro Dio”. In prospettiva cristiana, tra il Crocidfisso e gli dei non esiste una gradazione nel senso che Dio si rivelerebbe meno nel mondo, nella sua storia e nella sua politica, e più invece in Cristo. Facilmente questa visione gradualistica che sale dalla theologia naturalis per giungere alla theologia cristiana, può essere smascherata nel suo carattere di ideologia propria di una chiesa di stato, la quale vuol erigersi a religione politica di una società e proporsi ad essa quale suo superiore compimento e quindi anche come giustificazione soprannaturale, ritenendosi “il coronamento della società”. Fra il “Dio in Cristo” e gli idoli che stanno al di fuori e che si concretano in altre rappresentazioni, sta la croce di quel Dio e quindi l’alternativa: “aut Christus – aut Caesar”, come già per Elia: “o Javhvé o Baal”. Per tale ragione Lutero e Zinzendorf non parlano di altri dei o di altre rivelazioni dell’unico e medesimo Dio, ma di “Dio e idolo”, “Dio e il Diavolo”. La croce di Gesù traccia una linea di separazione tra il Dio umano, il Dio della libertà e dell’amore, e l’ “anti-Dio”, che col suo predominio tiene prigionieri gli uomini, li ossessiona con le paure che in loro istilla, come fanno i demoni, e li dissolve nel nulla. Tuttavia, non si può nemmeno scambiare il “Dio crocifisso” con il “Dio dei cristiani”, perché un’analisi filosofica-religiosa e sociologica-religiosa ci fa comprendere come questo “Dio dei cristiani” non coincida sempre, o soltanto di rado, col “Dio crocifisso”. Anche per il cristianesimo storico la croce, quando venga accolta nella sua radicalità e condotta alle sue conseguenze estreme, è scandalo e follia. (Jürgen Moltmann, Il Dio crocifisso).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.