Carissimi,
“Ed egli domandava loro: Ma voi, chi dite che io sia? Pietro gli rispose: Tu sei il Cristo. E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno” (Mc 8, 29-30). Fu così che Pietro si mise e ci mise nei guai. Perché avrebbe potuto limitarsi a ripetere ciò che di Gesù pensava (e, spesso, pensa ancora) un certo numero di persone: un profeta, Giovanni Battista redivivo, un terapeuta, un filosofo, un rivoluzionario, un maestro, o anche solo, un amico, un grande amico. Persone che, prima o poi, finiscono. Anche se è triste che finiscano. E invece gli butta lì: sei il Cristo. Sei il Messia. E, con un certo Messia, ci sarebbe andata ancora bene. Noi, suoi amici, ci avrebbe fatto tutti ricchi e potenti, con un posto garantito per tutti. E gli altri, a morire d’invidia. E, invece, cosa ti è andato a scovare Gesù nella Bibbia, per dirsi come Cristo? Qualche versetto della profezia di Isaia, la figura del servo sofferente. Ma come servo, il messia deve regnare, se no che razza di messia è? “E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere” (Mc 8, 31). Beh, bisogna riconoscere che Pietro ce l’ha messa tutta per togliere quest’idea balzana dalla testa del Maestro, che minava alla radice e squalificava ogni futuro tentativo di fare della compagnia di Gesù – quella che poi si sarebbe chiamata chiesa – qualcosa di diverso dall’essere figura del pane che si dona per la vita del mondo. Segno di una logica diversa che il potere politico (gli “anziani”), le gerarchie religiose (i “capi dei sacerdoti”) e i loro intellettuali organici (gli “scribi”) temono come la peste. Il che spiega perché, da allora, facciano coerentemente di tutto per eliminarla dall’orizzonte della storia. A Pietro è andata male, quella volta, al punto che è toccato a lui il primo e più vero esorcismo pronunciato da Gesù nella cerchia dei suoi discepoli. Destinato, necessariamente, a proiettarsi nel tempo e a risuonare perciò anche per noi, come individui e come chiesa. Quello che identifica la presenza di Satana in ogni forma di collusione (anche solo con il silenzio o l’indifferenza) con il sistema del dominio, che è naturalmente sempre a fin di bene (almeno del bene di qualcuno), ma si traduce sempre, chissà poi perché, in oppressione, asservimento, manipolazione, esclusione dell’altro. “Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” (v.33). Sì, c’è proprio bisogno che Gesù lo ripeta ancora, per le sue Chiese, oggi.
Il nostro calendario, prendendo spunto dall’anniversario della morte di Giordano Bruno, ci porta oggi la memoria di tutti i Martiri dell’Inquisizione (non importa se cristiani o no, santi o peccatori, ortodossi o eretici, beghine o streghe). Essa richiama la nostra attenzione sul fatto che l’unica verità da affermare (a cui ogni altro dogma rimanda), a partire almeno dall’annuncio di Gesù, era ed è che Dio è Amore incondizionato per tutti. Il che comporta, come inevitabile corollario, che ci si debba impegnare, come cristiani, perché tutti (non solo alcuni, i nostri, o i buoni, ma tutti, compresi i suoi nemici o negatori) abbiano vita e vita in abbondanza.
Oggi noi ricordiamo anche Jiddu Krishnamurti, [non-]maestro del nostro tempo.
I testi che la liturgia propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Genesi, cap.9, 1-13; Salmo 33; Vangelo di Marco, cap.8, 27-33.
La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.
Il libro “Al di là della violenza” (Ubaldini) raccoglie alcune conversazioni e discussioni tenute da Jiddu Krishnamurti. In una di esse, svoltasi all’Univerità Statale di San Diego, l’8 aprile 1970, l’autore rispondeva ad una sua interlocutrice con le osservazioni, che nel congedarci, vi proponiamo qui di seguito come nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Vi siete mai chiesta perché siete frustrata? E per rispondere a questo interrogativo vi siete mai chiesta: Che cos’è la soddisfazione? – perché mai voler essere soddisfatti? Esiste la soddisfazione? Che cos’è che si soddisfa? – il ‘me’, il ‘me’ che è violento, il ‘me’ che separa, il ‘me’ che dice: “Sono più grande di te”, che persegue l’ambizione, la fama, la notorietà? Siccome mira al successo, è frustrato quando non riesce a raggiungerlo; perciò diventa amaro. Vedete che c’è un ‘me’ che vuole espandersi, che, quando non si espande, si sente frustrato e quindi amaro? – quell’amarezza, quel desiderio di espandersi, è violenza. Ora, quando vedete la verità di ciò, allora non c’è desiderio di soddisfazione, quindi non c’è frustrazione. […] Attenzione a ciò che sto per dire: gli esseri umani si distruggono l’un l’altro con la violenza: il marito distrugge la moglie e la moglie distrugge il marito. Sebbene dormano insieme, passeggino insieme, ciascuno vive isolato con i propri problemi, con le proprie angosce; e questo isolamento è violenza. Ora, quando vedete tutto ciò di fronte a voi così chiaro e distinto – dico vedere, non pensare – quando ne vedete il pericolo, voi agite, no? Quando vedete un animale pericoloso, voi agite; non ci sono esitazioni, non ci sono discussioni fra voi e l’animale – voi agite, voi fuggite o fate qualcosa. Invece qui discutiamo perché non vedete il pericolo della violenza. Se realmente, con il vostro cuore, vedete la natura della violenza, ne vedete il pericolo, avete chiuso con essa. Ora, come si può farne vedere il pericolo, se non volete vedere? (Jiddu Krishnamurti, Al di là della violenza).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.