Carissimi,
“Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Gesù lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: Effatà, cioè: Apriti!” (Mc 7, 32-34). Debitamente evangelizzato dalla donna siro-fenicia, di cui il buon Dio si è servito come di una pedina per suggerire le necessarie correzioni di rotta al suo cammino (succede sempre così, Dio quasi mai si fa presente di persona, ci parla attraverso fatti, persone, cose), Gesù continua a muoversi in territorio pagano, questa volta nella Decapoli. E quando gli portano quel sordomuto e gli chiedono di guarirlo, pagàno anche lui, ovviamente, non fa una piega: ebrei o pagani che differenza fa? Così lo prende, lo conduce in disparte, a tu per tu. E già qui il sordo comincia a guarire. Sì, ma oggi che Gesù non c’è, cosa significa tutto questo? chiedeva Valdecí. Rafael ha risposto: tutti noi siamo di volta in volta il sordomuto o i suoi amici e Gesù è la sua parola quando diventa vita della comunità. Forse per noi non è facile come è stato allora, proprio per i nostri limiti, però ogni tanto ci sembra davvero di fare l’esperienza di sentire un po’ di più, e anche di capire un po’ di più e quindi di riuscire, a nostra volta, ad annunciare e a testimoniare. E non è il catechismo che dobbiamo trasmettere, né delle formulette imparate a memoria, né le risposte già pronte per tutti i possibili dubbi. Gesù, quell’uomo, si è limitato a prenderlo in disparte, e a mettergli le dita nelle orecchie e un po’ di saliva sulla lingua. E uno, oggi, ci può anche ridere su. Ma, a quello là, pagàno, ha aperto il flusso della comunicazione. Dio è, prima di tutto, questa comunicazione. E se il dito di Gesù sta ad indicare, come vogliono i Padri, l’azione dello Spirito, ecco che c’è un’anticipazione di ciò che sperimenterà Pietro, nell’incontro con il centurione Cornelio: “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo (cultura, religione) appartenga, è a lui accetto” (At 10, 34-35). Eh, il vecchio buon Pietro, c’è arrivato anche lui alla fine. E sì, che sarebbe bastato stare un po’ più attento quel giorno, nel territorio della Decapoli.
Noi in questo giorno ricordiamo anche Abraham Johannes Muste, profeta di pace e di nonviolenza, e di Marie-Dominique Chenu, teologo del Concilio.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Genesi, cap.2, 18-25; Salmo 32; Vangelo di Marco, cap.7, 31-37.
La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.
È tutto, anche per stasera. Noi vi si lascia ad un richiamo – serio ed esigente di Marie-Dominique Chenu – sulla povertà evangelica, che ci riguarda tutti, se siamo cristiani. È tratta dal libro “La Parole de Dieu” (Éditions du Cerf). Ed è, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Noi ci troviamo, e dobbiamo di proposito rimanervi, nel terreno del “mistero”, del mistero di Cristo, la cui incarnazione è il modello supremo di ogni povertà. Poniamoci allora sotto la luce della fede, nel senso forte per cui la fede ci trasforma in un essere nuovo, nato in noi per opera di Cristo che ci divinizza. Certo, rimangono validi e urgenti i problemi della produzione e della distribuzione dei beni, del buon uso delle ricchezze, materiali e culturali, il problema della loro opportuna appropriazione e di una non meno opportuna socializzazione. Ma questa grande e assai difficile “moralizzazione” spetta ancora all’acutezza della ragione, di una ragione che ha preso coscienza delle condizioni concrete della crescente solidarietà degli uomini e dei popoli. La povertà “evangelica” è di un altro ordine, in cui non posso pormi se non nella comunione con il mistero. Chi non accetta il mistero di Cristo può certamente avvertire un consenso straordinario con alcuni tratti di un umanitarismo che esige di lottare per la giustizia e per la promozione di tutti gli uomini; e io, credente, non soltanto ne trarrò profitto, ma sarò ben lieto di trovare un elemento di dialogo, di coesistenza, per organizzare, insieme ai miei fratelli non credenti, un mondo abitabile per tutti. Ma per questo dialogo mi guarderò bene dall’addomesticare l’asprezza, la durezza dei termini evangelici, e il paradosso che essi esprimono. E il paradosso è esattamente la forma che si conviene all’enunciato del mistero. Ben lungi dall’edulcorarlo, bisogna mantenerlo nella sua interezza, perché mi ricordi costantemente dell’alto livello di cuore e di spirito in cui debbo pormi. Mi rallegrerò dell’incontro tra le diverse forze; ma, proprio per questo, veglierò sull’intelligenza della mia fede, nello scontro con il mistero. (Marie-Dominique Chenu, La Parole de Dieu).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.