Carissimi,
“Voi stessi mi siete testimoni che ho detto: Non sono io il Cristo, ma io sono stato mandato innanzi a lui. Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è compiuta. Egli deve crescere e io invece diminuire” (Gv 3, 28-30). È l’ultima testimonianza che il Battista rende a Gesù, alla notizia che anch’egli si è messo a battezzare, dall’altra parte del Giordano e che “tutti” accorrevano a lui (v.26). Stamattina ci dicevamo che, se non ci limitiamo a fare l’archeologia dei Vangeli (ipotizzando, nel caso di questo episodio, le possibili tensioni e/o incomprensioni tra i discepoli di Giovanni e quelli di Gesù), ma cerchiamo di intendere che cosa la loro parola voglia dire per noi oggi, potremmo vedere nella confessione di Giovanni l’indicazione di un atteggiamento che dovrebbe caratterizzare la Chiesa (e noi, se ne siamo partecipi). La Chiesa, allora, sarebbe questo tendere l’orecchio alla Parola che è detta e avviene nella storia, facendosene subito dopo eco; questo distogliere l’attenzione da sé per additarla; questo intimo compiacimento nel vederla compiersi, diminuendo nel contempo noi e nascondendoci fino a scomparire. È chiederci troppo? Sì, certo. E, tuttavia, è bene tenerlo almeno in mente. Il messaggio di cui siamo latori non può essere troppo diverso dal suo contenuto, pena il suo inesorabile svuotamento. Il Dio che scende, si nasconde, si fa nulla (il bimbo nella mangiatoia e poi la Croce, il massimo dell’insignificanza) per permeare di sé e proclamare l’uguale dignità di tutti, non può essere annunciato con l’esibizione trionfalista di una qualche figura del potere. Gesù è l’avvento della beatitudine dei poveri, del primato degli ultimi, della signoria dei servi (non di quelli che si dicono o si fingono servi, per comandare meglio), ed è questo il significato, il “Lui” che deve crescere e noi diminuire. Nella nostra vita personale e nella vicenda quotidiana delle nostre comunità, delle nostre parrocchie, delle nostre pastorali, delle nostre diocesi, così vittime, spesso, di ambizioni, di personalismi, di lotte per l’affermazione di sé e della propria linea. Sempre la migliore, s’intende.
Oggi il calendario ci porta la memoria di Giorgio di Choziba, monaco e di Rabbi David di Lelow, mistico chassidico .
I testi che la liturgia odierna propone oggi alla nostra attenzione sono tratti da:
1ª Lettera di Giovanni, cap.5, 14-21; Salmo 149; Vangelo di Giovanni, cap.3, 22-30.
La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.
Noi ci si congeda qui, lasciandovi a un “fioretto” di Rabbi David di Lelow, trasmessoci da Martin Buber, nel suo “I racconti dei Chassidim” (Garzanti), che è, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Rabbi Isacco di Worki raccontava: “Un giorno che ero in viaggio col mio santo maestro, Rabbi David di Lelow, e ci trovavamo in una cittá lontana, improvvisamente una donna l’assalì per strada e lo batté. Ella aveva creduto di riconoscere in lui il proprio marito che l’aveva abbandonata molti anni prima. Quando, pochi momenti dopo, l’errore si chiarì, essa scoppiò in un pianto dirotto. ‘Stai calma, le disse Rabbi David, tu non hai battuto me, ma tuo marito’. E a voce bassa aggiunse: Quanto spesso si batte qualcuno perché lo si prende per chi non è!’”. (Martin Buber, I racconti dei Chassidim).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.