Carissimi,
“Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui” (Lc 20, 37-38). Forse anche la nostra società è sempre più “sadducea” e persino le chiese e, chissà, sotto sotto, anche noi. Sicché il tema della risurrezione è sempre meno di attualità, confinato, per chi lo recita ancora, nel Credo, dove la risurrezione della carne scivola via senza che neanche ci se ne accorga. Ed è già l’amen. Per cui ciò di cui ci si deve preoccupare è arraffare il più possibile dalla vita, non negarsi nulla (certo, per chi può permetterselo, ma gli altri possono sempre almeno sognarlo), collezionare “cose”, ville, appartamenti, terre, automobili, barche, mogli, mariti e figli. E conti correnti, naturalmente. Che, se siamo religiosi, sono tutti segni della benedizione che Dio ci riserva, per il fatto di essere suoi bravi figlioli. Sì, ma gli altri? Gli altri non è affar nostro, in ogni caso se la saranno cercata. Stamattina ci dicevamo che questa società ha sempre più paura della morte, proprio perché non crede più nella risurrezione. Così ha bisogno di inventarsi dei surrogati di risurrezione, ogni giorno. Rivoluzionare il guardaroba, un trapianto di capelli, un lifting qui, una liposuzione là, una nuova moglie, o un lap-top dell’ultima generazione. E qui la fantasia già non ci soccorre più. Gesù, nella risposta che dà ai sardonici sadducei, si è limitato a dire che “quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dei morti, non prendono moglie né marito” (Lc 20, 35). Oggi, avrebbe potuto continuare con una lista interminabile di “cose” in più che essi non hanno bisogno di accaparrarsi. Perché loro vivono per Dio (v.38), vivendo per il prossimo. Gli altri invece (forse anche noi, nel nostro piccolo), che cercano baldanzosamente e disperatamente di salvarsi, sono in realtà già morti, solo con un po’ di belletto in più e con un po’ troppe cianfrusaglie intorno. Speriamo solo temporaneamente. Perché riscoprano cosa significa vivere.
Il 20 novembre, qui in Brasile, si celebra la Giornata Nazionale della Coscienza Negra. Che coincide con la memoria del martirio di Zumbi di Palmares e di tutti coloro che caddero per rivendicare il diritto della popolazione negra (ma non solo) di questo e di ogni altro continente a vivere in libertà una vita che si dispieghi in pienezza, bellezza e abbondanza. Che è poi il progetto del Regno.
Il nostro calendario ci porta anche la memoria di Lev Tolstoj, profeta della nonviolenza.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro dell’Apocalisse, cap.11, 4-12; Salmo 144; Vangelo di Luca, cap.20, 27-40.
La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.
“Padre Sergij” è stata definita “la più intensa, la più struggente tra le autobiografie ideali di Lev Tolstoj”. Scritta tra il 1890 e il 1898, egli “non la pubblicò; la teneva per sé, vi si specchiava, ora rabbrividendo per quanto gli assomigliava davvero, ora sforzandosi, disperatamente, tragicamente, di assomigliargli fino alla fine”. Noi, nel congedarci ve ne proponiamo qui una della pagine conclusive, nella traduzione a cura di Igor Sibaldi, apparsa da Feltrinelli. A noi è parso che abbia a che vedere con il Vangelo su cui abbiamo riflettuto stamattina ed è comunque, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
“Ecco dunque cosa significava il mio sogno. Pàšen’ka è proprio ciò che io dovevo essere e non sono stato. Io ho vissuto per gli uomini con il pretesto di Dio, e lei vive per Dio immaginandosi di vivere per gli uomini. Sì, una sola azione buona, una tazza d’acqua offerta senza pensiero di ricompensa, è più preziosa di tutti i benefici, che io ho portato alla gente. Ma c’era in me almeno un poco di desiderio sincero di servire Dio?”, domandò a se stesso, e la risposta fu: “Sì, ma tutto è stato sporcato, soffocato dalla gloria degli uomini. Sì, non c’è Dio per chi ha vissuto come me per la gloria degli uomini. Lo cercherò”. E andò, così come era giunto da Pàšen’ka, di villaggio in villaggio, unendosi e congedandosi da pellegrini e pellegrine e chiedendo per amore di Cristo pane e un giaciglio per la notte. Di quando in quando qualche padrona di casa, cattiva, imprecava contro di lui, oppure un mužik ubriaco lo insultava, ma per lo più gli davano da mangiare, da bere, e gliene davano anche da portare con sé, per via. Il suo aspetto signorile disponeva molti a suo favore. Alcuni, al contrario, parevano quasi rallegrarsi del fatto che ecco, un signore come quello fosse finito a mendicare. Ma la sua mitezza vinceva tutti. Spesso, trovando in una casa un vangelo, lo leggeva, e sempre la gente si commuoveva e si stupiva, ascoltandolo, come se dalla sua voce stessero ascoltando qualcosa di nuovo e al contempo di ben noto. Se riusciva ad essere utile alla gente o con un consiglio, o perché sapeva leggere e scrivere, o perché ricomponeva una lite, non vedeva la gratitudine di coloro per i quali l’aveva fatto, giacché se ne andava subito. E pian piano, Dio cominciava a manifestarsi in lui. (Lev Tolstoj, Padre Sergij).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.