Carissimi,
“Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza” (Lc 16, 13). Dopo aver riferito l’elogio dell’amministratore disonesto a suo modo “convertito”, Luca, richiamando alcune sentenze di Gesù, riporta la nostra attenzione su ciò che fa di noi cattivi amministratori (e, perciò, cattivi testimoni) dell’Evangelo del Regno. E si tratta dell’uso delle ricchezze. È questa una delle pagine, su cui i cristiani di tutti i tempi, persino quelli che hanno fatto promesse solenni di povertà, preferiscono glissare o arrampicarsi, come possono, sui vetri. Beh, semmai fossimo ancora capaci di turbarci, non ce la prendiamo più di tanto: tutto era già messo nel conto. Infatti, dei farisei del racconto, che ci rappresentano alla perfezione, è detto che “ascoltavano tutte queste cose e si facevano beffe di lui” (v.14). E non hanno (non abbiamo) mai finito. Però, vale la pena di leggerci con attenzione la parola conclusiva che Gesù rivolge a quanti pensano di essere giusti, pur nel loro attaccamento alle ricchezze: “Ciò che fra gli uomini viene esaltato, davanti a Dio è cosa abominevole”. E che Lui abbia misericordia di noi.
Oggi facciamo memoria di Piccola sorella Magdeleine de Jésus, contemplativa tra i poveri, e di Marcel Légaut, cristiano libero e appassionato di Gesù.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Filippesi, cap.4, 10-19; Salmo 112; Vangelo di Luca, cap.16, 9-15.
La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.
Avessimo trovato un testo di p.s. Magdeleine de Jesus, vi avremmo proposto quello, in chiusura. Ma non lo si è trovato. E, così, abbiamo dovuto attingere alla riflessione di Marcel Légaut, che, certo, è bella e profonda, ma, qualche volta, di più difficile lettura. Comunque, ci si è messi di buzzo buono, ne abbiamo selezionato un brano e l’abbiamo testato con noi stessi per primi. Risultato: siamo arrivati alla fine, prima che ci si chiudessero gli occhi per la stanchezza, visto che è quasi mezzanotte, e ci pare pure di averlo capito. Si tratta di un passo tratto dal suo libro “Mutation de l’Eglise et conversion personnelle” (Aubier), che proproniamo anche a voi, per oggi, come nostro
PENSIERO DEL GIORNO
La fede in se è l’affermazione incondizionale posta dall’adulto del valore originale della sua realtà presa in se stessa. Indipendente da ogni filosofia, quand’anche personalista, lo è pure di ogni considerazione semplicemente morale fatta dall’uomo sul suo passato o sul suo avvenire. Non fluisce necessariamente dalla memoria che l’uomo ha della sua vita, né dai giudizi che porta su di essa. Trae il suo vigore dallo stesso essere che l’afferma. Non ha altro contenuto intellettuale all’infuori di questa nuda affermazione. Nella forza del termine, la fede in se è l’adesione totale dell’uomo a sé stesso nel suo confrontarsi con sé, faccia a faccia; è semplicemente e soltanto coscienza che si concentra su di sé, che si rispecchia e si comprende. Si appropria di sé, nella misura in cui ne è capace, in questo movimento essenzialmente semplice. [….] La fede in Dio è come l’altra faccia della fede in sé, inseparabile da questa. Chi raggiunge la fede in sé, possiede pure la fede in Dio, quand’anche si dica ateo, poiché il suo ateismo non è che il rifiuto di tutte le concezioni di Dio presenti nel suo ambiente o che si propongono al suo spirito. La fede in Dio è come la risultante della fede in sé e della presa di coscienza della propria carenza d’essere, che mostra che non si ha in sé l’essere e che non lo si saprebbe trattenere da soli. Dunque, aver fede in sé non è mettersi al posto di Dio e divinizzarsi, ma è raggiungere Dio diversamente che per il tramite di una concezione animista di Dio che lo riduce ad essere solo il costruttore, l’organizzatore, il reggitore del Mondo; di un Mondo a cui Dio rimane estraneo a causa della sua stessa trascendenzia. La fede in sè purifica l’espressione “creatore dell’uomo” e la nozione di provvidenza, da ciò che esse suggeriscono di materialita e di esteriorità; essa conduce alla fede in Dio in cui la trascendenza divina è concepita nell’estrema interiorità di Dio nell’uomo. La fede in Dio così vissuta, purifica l’espressione “uomo, creatura di Dio” e la nozione di obbedienza da ciò che suggeriscono pure loro di materialità e di esteriorità e impedisce alla fede in sè di degenerare sia nella fiducia in se stessi, sia nella divinizzazione di sé. (Marcel Légaut, Mutation de l´Eglise et conversion personnelle).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.