Carissimi,
“Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi” (Lc 13, 29-30). Fin dall’inizio del suo ministero, Gesù aveva dichiarato apertamente a chi, già da ora, appartiene il regno di Dio, cioè su chi si estende la sua benevola sovranità (o, forse meglio, la sua amichevole sudditanza) e si tratta dei poveri: “Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio” (Lc 6, 20). I signori del Suo regno sono loro ed è la nostra fortuna, perché loro non conoscono frontiere, non tracciano confini, non erigono barriere, né frappongono ostacoli. Così che sono correnti interminabili di persone che provengono da ogni dove, “da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno” per sedersi e saziarsi alla tavola comune. È così che accade il regno e, se Dio regna, i salvati, già qui, ora, sono un numero esorbitante, infinito. Se, invece, a prevalere sono gli istinti egoisti, la sete di dominio, di possesso, di profitto, allora quanti si illudono di salvarsi saranno inevitabilmente pochi, sempre meno, né sarà, comunque, la salvezza di Dio che avranno conosciuto, ma l’effimera salvezza mondana (quand’anche benedetta da qualche chiesa), il successo costruito sulla fame e sull’impoverimento dei più. Luca ha ben presente il rischio che corre la sua comunità e ogni comunità avvenire e ridice perciò per loro e per noi il severo monito di Gesù: non pensiate che basti ascoltare la mia parola, cibarvi della mia carne e bere il mio sangue, frequentare le vostre chiese, insomma, se non agite secondo giustizia. Secondo la mia giustizia. Che libera da ogni oppressione e sazia ogni fame. Allontanatevi da me, non vi conosco!
Oggi il nostro calendario ecumenico ci porta la memoria di Tukârâm, mistico indiano.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera agli Efesini, cap.6, 1-9; Salmo 145; Vangelo di Luca, cap.13, 22-30.
La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti ricercano l’Assoluto della loro vita nella testimonianza per la pace, la fraternità e la giustizia.
Dona Fia, la sposa di seu Ciato era dolorante da parecchi giorni. Pensava fosse conseguenza di una caduta e i medici di qui si erano limitati ad imbottirla di antinfiammatori. Stamattina, Valdecí e Lazinho, un po’ in dubbio sulla diagnosi, dopo una riunione di famiglia, hanno deciso di portarla a Itapuranga, a una cinquantina di chilometri da qui, dove l’attendimento medico pare decisamente migliore. Risultato: a mezzogiorno è stata operata per due ernie. Se tutto va bene, resterà internata un paio di giorni, assistita da Valdecì, che, ci diceva poco fa per telefono, passerà la notte su… uno sgabello. E sarà una lunga notte.
Bene, noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una poesia di Tukârâm, che dice la bellezza del riempirsi di Dio, ripetendo il suo nome. Che poi è la stessa spiritualità cui attinge la tradizione orientale della preghiera del Nome, così cara al nostro Pedrão e ad alcuni(e) di noi. È, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Colui che pronuncia il Nome di Dio mentre cammina / ottiene il merito di un sacrificio ad ogni passo. / Il suo corpo diventa un luogo di pellegrinaggio. / Colui che ripete il nome di Dio durante il suo lavoro / trova sempre la pace perfetta. / Colui che pronuncia il nome di Dio mentre si alimenta / ottiene il merito di un digiuno / pur prendendo i suoi pasti. / Anche se si dovesse dare in beneficenza / il mondo intero circondato dai mari / non sarebbe uguale il merito del ripetere il Nome. / Con la potenza del Nome / si conoscerà ciò che non può essere conosciuto, / Si vedrà ciò che non può essere visto, / Si arriverà a parlare di ciò di cui non si può parlare, / Si troverà ciò che non si può trovare. / Tuka dice: / Incalcolabile è il guadagno che deriva / Dal ripetere il Nome di Dio. // (Tukârâm, Name of God).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.