Carissimi,
“Si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo” (Lc 13, 1-3). C’è qualcosa che non quadra nella concezione che così spesso si ha di Dio, che benedirebbe alcuni e maledirebbe altri. O premierebbe alcuni e altri punirebbe. Seguendo questa logica, chi è ricco, sano e gaudente, lo sarebbe perché oggetto della benevolenza di Dio, chi è povero, malato, infelice, patirebbe invece le conseguenze di qualche sua colpa. Noi crediamo di aver letto, tempo fa, qualcosa del genere su un giornaletto evangelico, che disinvoltamente attribuiva il benessere dei paesi del Nord del mondo alla scelta “cristiana”, e i drammi del Sud del mondo al suo ostinato paganesimo o all’adorazione di dèi falsi e bugiardi. E ci sarebbe da chiedersi quanto sia stata e sia cristiana, e non invece il suo esatto contrario, la storia e l’attualità dei Paesi dell’abbondanza. Costruita sullo sfruttamento e sul sangue dei poveri, talvolta con tanto di benedizione delle loro chiese (non certo di Dio!). Gesù, interpellato, non fa comunque un discorso sui massimi sistemi. Sa che il male esiste e sa che chi lo subisce non ne è necessariamente (anzi non lo è quasi mai) il responsabile. Quando Luca scrive il suo Vangelo, tra l’altro, Gerusalemme è già stata distrutta e quel giudizio di Gesù gli deve aver ricordato che quella distruzione non è ovviamente colpa delle vittime, ma, semmai, dei loro oppressori e, più in profondità, della logica che governa il mondo. A quella logica, solo a volerlo, ci si può sottrarre, dice Gesù. È la scelta della conversione. Che non consiste tanto nel cambiare di religione, o nel prendere a frequentare una chiesa o a fare le proprie devozioni, quanto nel cambiare lo sguardo che portiamo sul mondo, facendo nostro il Suo. E il Suo è lo sguardo del Padre di tutti, che ci vuole fratelli. E anche se dà mostra di spazientirsi, quando non ci riusciamo, è subito disposto a darci tempo, tanto quanto dura la nostra vita. Perché noi si impari a fare altrettanto. Inveterato ottimista quale egli è.
Oggi è memoria dello staretz Ambrogio di Optina, “fatto tutto a tutti”; di Vilmar José de Castro, maestro e catechista, e di Nativo da Natividade de Oliveira, sindacalista, entrambi martiri in Brasile.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera agli Efesini, cap.4, 7-16; Salmo 121; Vangelo di Luca, cap.13, 1-9.
La preghiera del sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.
Per ricordare i venticinque anni dal martirio di Nativo (e ventiquattro da quello di Vilmar), la diocesi si è recata, nel pomeriggio, in pellegrinaggio a Carmo do Rio Verde. Per dirlo con le parole del nostro vescovo “la memoria del passato è importante per tutti, ma specialmente per le nuove generazioni. Non è, infatti, possibile costruire il futuro, senza conoscere le lotte e le sofferenze di chi ci ha preceduto. La fedeltà all’ideale di quanti sono caduti vittime del latifondo è compito urgente. Venti alienanti soffiano oggi nella societá e nelle chiese: una spiritualità disincarnata, fuori della realtà e anestetizzante. Davanti a questi venti contrari continuiamo a credere nella vittoria di quanti testimoniano con la loro vita che un altro mondo è possibile. Il sangue dei martiri ci ricorda l’ideale del martire Gesù. I suoi comportamenti lo hanno portato alla croce. Egli incomodava grandi e potenti. E tuttavia il sogno di Gesù si è diffuso e ha contagiato molti altri, portandoli a dare la vita perché altri avessero vita. Dio voglia che la nostra Chiesa di Goiás non perda l’orientamento della fedeltà all’Evangelo e al nostro popolo sofferente e schiacciato dal profitto e dal capitale. Perché il Regno che Gesù inaugurò, Regno di pace e giustizia, di solidarietà e fraternità accada sempre di nuovo”. Al termine della lunga camminata, che ha visto sfilare per il centro della città qualche migliaio di persone, è stata celebrata l’Eucaristia, presieduta da dom Eugenio e da Dom Tomás, “sul suolo sacro che ha visto scorrere il sangue dei martiri”.
Bene, noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura il brano di una lettera di Ambrogio di Optina, che troviamo in una raccolta dal titolo “La Preghiera di Gesù nella corrispondenza dello starec Amvrosij di Optina”, nel sito di Esicasmo. E che è, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Scrivete che i vostri nemici spirituali hanno scatenato una tale guerra contro di voi, che vi impediscono di compiere la preghiera mentale facendo rumore e baccano attorno a voi quasi stessero danzando in cerchio. Per questo motivo chiedete a me, uomo tardo di mente, che cosa fare e come comportarvi in tali casi. Dovreste imitare coloro che sono piaciuti a Dio per il modo in cui hanno agito in simili circostanze. Nella Vita di Arsenio il Grande si legge che il santo, alcune volte, alzandosi dalla preghiera mentale, pregava ad alta voce con le mani sollevate: “Signore Dio! Non abbandonarmi, perché non ho mai fatto nulla di buono ai tuoi occhi, ma aiutami e concedimi di poter cominciare”. In questa breve preghiera di uno che piaceva al Signore è espressa anzitutto grande umiltà, senso di autocritica e umiliazione di sé e, in secondo luogo, si mostra che questo santo non pregava in tal modo senza una ragione, ma evidentemente perché, a motivo della sua vita rigorosa, era stato assalito da pensieri di grandezza da parte dei nemici della mente, che non lasciano in pace nessuno, ma attaccano chiunque, con ogni mezzo possibile. È necessario, in particolare per noi che siamo deboli, stare attenti ai pensieri di grandezza, che sono più nocivi di qualsiasi altra cosa nella lotta spirituale, come spiega san Marco l’Asceta. (Ambrogio di Optina, Lettera del 19 Ottobre 1870).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.