Carissimi,
“Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo” (Lc 12, 39-40). Maria do Rosário è del partito della paura. Dice infatti: è vero, Gesù sta per tornare e ce ne sono i segni, terremoti, guerre, disastri. Dobbiamo tenerci pronti. Valdecí, che stamattina è riuscita a vincere il trauma dell’ora estiva e a sgattaiolare di sotto le lenzuola, non è così convinta. Dice anzi: se dobbiamo avere paura anche di Gesù, che brutta notizia è Gesù. Sì, certo i ladri vengono a scassinarci la casa, ma lui, Gesù, viene per forzarci il cuore. Ora, se ci si lascia vincere dal sonno, in un caso come nell’altro, si mette male per noi. Perché il ladro ci deruberà, e Gesù non troverà con chi fare festa. No, Gesù non si sogna davvero di metterci paura, vuole solo trovare in noi dei testimoni coscienziosi e attenti, degli amici di cui fidarsi. Pietro, anche a nostro nome, gli chiede se questa parabola [della vigilanza] è solo per noi o anche per gli altri. E Gesù risponde con un’altra parabola, in cui ribadisce la centralità della categoria del servizio nella sua comunità, che è chiamata a testimoniare il regno di Dio prossimo venturo. Al suo interno e al suo esterno. E chissà che il mondo, un giorno o l’altro, ci prenda sul serio. In questo modo, l’unica gerarchia che Gesù riesce a immaginare per noi non è quella di chi comanda, ma quella di chi dà da mangiare nel tempo dovuto. E questa è anche la funzione/missione della comunità: dar da mangiare, o, meglio, “darsi” da mangiare. Che se non facessimo questo, Lui, tornando (e non c’è bisogno di aspettare la morte o la fine del mondo, Lui torna ogni sera), ci taglierebbe in due. Come infatti, invariabilmente, noi ci si trova divisi in due, per aver proclamato e celebrato una cosa – la condivisione, il dono di sé – e praticato il suo contrario – l’arraffamento, il tutto per me.
Di tre che, il servizio, l’hanno vissuto sul serio e fino in fondo, facciamo oggi memoria: Raimundo Hermann, prete e martire a difesa degli indios, in Bolivia, Jerzy Popieluszko, prete e martire della Solidarietà; Soeur Emmanuelle Cinquin, straccivendola per solidarietà.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera agli Efesini, cap.3, 2-12; Salmo (Is 12, 2-6); Vangelo di Luca, cap.12, 39-48.
La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti ricercano l’Assoluto della loro vita nella testimonianza per la pace, la fraternità e la giustizia.
Bene. Oggi la piccola Giulia, una nostra amichetta di costì, doveva sottoporsi ad una visita di controllo, che suscitava qualche apprensione. Ma è andato tutto bene. Una nostra amica di qui, che se l’è presa in carico da tempo, Maria das Dores, ha anch’essa, ora bisogno di un sostegno forte. Vediamo di darci una mano, continuando a portarle, l’una e l’altra nella nostra preghiera. Che aiuta sempre.
Per stasera è tutto. Noi ci si congeda qui, lasciandovi alla lettura di una pagina di Suor Emmanuelle, tratta dal suo ultimo libro che ha come titolo “Confessioni di una religiosa” (Jaca Book). È, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
La povertà è capacità d’amore. L’amore – ogni forma d’amore – suppone una spoliazione del cuore che si riconosce quale è, incompleto. Ovunque sia e comunque sia, in ogni essere umano c’è un buco. Ho cercato di confessarlo. Ma questo buco non è un buco nero, come quei corpi celesti che inghiottono tutto. Al contrario, è apertura alla luce, all’altro e alla sua chiamata. Anche inconsciamente, ognuno attende questa chiamata. Rispondervi è sentirsi più umani, più vivi. E anche questo non finisce mai. Ogni amore è fragile, e ogni risposta deve essere reiterata. Facendo il bilancio della mia vita, constato che, ogni volta che l’esperienza del mio nulla si faceva più radicale, ogni volta maturava la risposta di un’amore più vero. Credo che l’annientamento finale, la morte, sarà anche la porta definitivamente aperta all’amore. Credo che l’amore è uno, che si riferisca a Dio o all’uomo. Coloro che amano l’uomo sono anche, sempre senza renderseno conto, degli amanti di Dio. È semplicissimo amare, perché l’amore non è un ideale perso fra le nuvole. È nella vita di tutti i giorni, nella semplicità stessa della vita. Quando dico che l’amore è più forte della morte, non dico che è un luogo diverso dall’esperienza quotidiana. Non bisogna pensare che si tratti di qualcosa di straordinario. Vedo intorno a me tantissime persone che, senza pensarci, pongono tutti i giorni atti di interesse per qualcun altro, un prossimo: un bambino, un congiunto, un collega. Ed è vero anche il contrrario: chi non ha in vita sua beneficiato, in un’occasione o nell’altra, di una mano tesa, di un orecchio attento, di un cuore aperto? Ciò non impedisce che vi possa anche essere, nelle stesse azioni, dell’egoismo esacerbato. Vi può essere dell’uno o dell’altro. Inestricabilmente unite vi sono forze di vita e forze di morte. Tuttavia, oltre la morte, tocherà soltanto a Dio separare il grano buono dal loglio, e noi ritroveremo con stupore tutti gli istanti delle nostre vite in cui abbiamo saputo uscire da noi stessi. (Suor Emmanuelle, Confessioni di una religiosa).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.