Carissimi,
“Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: Non hanno vino. E Gesù le rispose: Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora. Sua madre disse ai servitori: Qualsiasi cosa vi dica, fatela” (Gv 2, 3-5). Ora, di questo episodio, gli esegeti daranno tutte le loro buone spiegazioni e noi le ascolteremo attenti. Però, stamattina, ci chiedevamo cosa possa voler dire per noi, oggi, nel contesto della festa che celebriamo. Che cosa rappresentano le nozze? Cos’è il vino, neanche troppo buono, che c’era e non c’è più? E che sono quelle enormi anfore di pietra? E l’acqua di cui vengono riempite? E il vino nuovo, il migliore, che è servito per ultimo? E i servi? Su Gesù, ovviamente non ci sono dubbi. Gesù è Gesù, la rivelazione del Padre, e questo è il suo primo segno. All’insegna della gioia messianica. Anche la madre, quest’oggi, è la Madre. Maria, la madre di Gesù, ma anche l’antica alleanza tra Dio e i suoi poveri che lo ha generato. E continua a generarlo nel tempo, come storia del suo Spirito. Le nozze è quando l’umanità (e, perciò, anche la Chiesa, e ciascuno/a di noi) conosce Dio, il suo agire (più che i suoi dettagli anagrafici, sui quali si possono pure prendere degli abbagli), è posseduta da Lui. E il vino che manca è quando l’amore comincia a finire e niente è più come prima. E la società (ed anche la Chiesa, e ciascuno/a di noi) diventa una serie di consuetudini (mondane o religiose), senza più vera allegria, dove tutto si fa per obbligo, poi, appena si può, non lo si fa neppure più. La Madre è, per così dire, la voce dell’inquietudine di Dio: non hanno più vino, non hanno più allegria. E per una madre, e per un Dio, non c’è punizione peggiore che vedere i suoi figli tristi. E chi può porvi rimedio è sempre e solo Lui, quel benedetto Figlio. Che, a quel tempo, disse: Non è ancora giunta la mia ora. E adesso vorrebbe rispondere: beh, la mia ora è già passata, non ti pare? E, invece, la sua ora, è sempre. Per cui lei può ripetere ogni volta: Fate quello che vi dirà. Certo, gli unici che lavorano, e sodo, nel racconto sono i servi, che devono riempire d’acqua quelle giare che perdinci avrebbero potuto essere più piccole! E invece no, perché, quel vino in cui Lui ha provveduto a trasformare la nostra fatica, deve durare sino alla fine della festa. Cioè, sino alla fine del mondo. Già, noi, i servi, a servizio dell’allegria del mondo. Con la possibilità, naturalmente, di farci anche noi un goccetto di tanto in tanto, per non correre il rischio concreto di incattivirci o, al contrario, di finire distesi sotto il tavolo. Beatamente ignari di tutti. Beh, Maria, è questa cosa qui: uno sguardo, a cui noi solleviamo il nostro. Il tempo di intenderci e lei subito: forza, ora sotto a lavorare. Fate quello che Lui vi dirà. Solo quello, non inventatevi altro.
Dunque, oggi, è la festa di N.S. Aparecida, che è chiamata anche la Vergine piccolina, Madre dei Poveri, Patrona del Brasile.
I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono propri della festività odierna e sono tratti da:
Libro di Ester, cap.5, 1b-2; 7, 2b-3; Salmo 45; Libro dell’Apocalisse, cap.12, 1.5.13a.15-16a; Vangelo di Giovanni, cap.2, 1-11.
La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.
Il nostro calendario ci porta anche la memoria di Elisabeth Fry, quacchera, amica dei carcerati e riformatrice delle prigioni, e di don Luigi di Liegro, prete dalle mani sporche.
Anche per stasera è tutto. Noi non si sapeva bene con che cosa congedarci, poi si è trovata in rete questa preghiera che ci dicono essere della piccola Teresa di Lisieux, senza però che nessuno specifichi la fonte. E va bene, noi ve la giriamo così com’è, anche perché ci sembra che in essa potrebbe comunque riconoscersi la nostra gente, che durante tutta la notte scorsa, e poi durante il giorno si è messa in cammino per raggiungere il piccolo santuario dell’Aparecida, che sorge a dodici chilometri dalla città. È, dunque, questa, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Io so bene, o Vergine piena di grazia, / che a Nazaret tu sei vissuta poveramente, / senza chiedere nulla di più. / Né estasi, né miracoli, né altri fatti straordinari / abbellirono la tua vita, o Regina degli eletti. / Il numero degli umili, dei “piccoli”, / è assai grande sulla terra: essi possono / alzare gli occhi verso di te senza alcun timore. / Tu sei la madre incomparabile che cammina / con loro per la strada comune, / per guidarli al cielo. / O Madre diletta, in questo duro esilio / io voglio vivere sempre con te / e seguirti ogni giorno. / Mi tuffo rapita / nella tua contemplazione e scopro / gli abissi di amore del tuo cuore. / Tutti i miei timori svaniscono / sotto il tuo sguardo materno / che mi insegna a piangere e a gioire. / (Teresa di Lisieux).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.