Carissimi,
“Siccome molta gente andava con lui, Gesù si voltò e disse: Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo” (Lc 14, 25-26). A pensarci bene, nell’innamoramento succede qualcosa di simile. Fino a poco prima, bastava la casa, i genitori, i fratelli, le sorelle, gli amici, le amiche, ma da “quel momento”, i pensieri, le fantasie, i progetti, il tempo che si ha a disposizione sono tutti per “quella persona lì”, che è apparsa al nostro orizzonte, o che, se già c’era, era però un’altra cosa. Ciò che fa diversa la storia di Gesù con i suoi discepoli, dalla sua storia con gli altri, è quel di più in risposta che loro gli sanno dare. Oh, sia ben chiaro, a non essere discepoli non si perde nulla. Anzi, si ha tutto da guadagnare, a buon prezzo per giunta, perché Lui si dona comunque. I miracoli, infatti, li faceva per la folla, ai discepoli non risulta ne abbia mai fatto uno, sia pure piccolino. A meno che non s’intenda per miracolo (come difatti lo è) quello sguardo che ci ha piantato negli occhi, o quella frase detta sottovoce: sei stato(a) perdonato(a), o anche: vieni, seguimi. Che, se e quando la si intende, è finita. Ora, quando Gesù parla di discepoli, mica parla dei preti, che sono stati inventati un po’ più tardi, parla di tutti i cristiani (e, quindi, “anche” dei preti). E, perdinci, quando si è innamorati, l’altro(a) non fa a tempo ad esprimere un desiderio, che noi l’abbiamo già bell’e che realizzato. E il desiderio di Gesù, il suo unico, è il Regno. Il Regno del Padre e, perciò, di noi fratelli. E così possiamo misurare il grado di innamoramento di quella sfilza di generazioni di cristiani, che, da allora, da Lui, si sono succedute nel tempo. Tanto innamorati che ci siamo perfino dimenticati che “quello” era il suo desiderio. E sì che, se preghiamo, avremmo motivo di ricordarcene: Venga il tuo regno!, lo diciamo spesso; e, se capita di andare a messa, potremmo vederlo fotografato nella parola che ascoltiamo e nel pane (Lui fatto pane) di cui ci alimentiamo. La croce di cui chiede di caricarci, non sono le inevitabili sofferenze che accompagnano ogni vita, né, meno ancora, quelle che pensassimo mai di infliggerci volontariamente. La croce è il suo progetto del regno: farci con Lui pane per la vita del mondo. Questo comporta rinunce? Sì e no. Chi decide di innamorarsi di un(a) ragazzo(a), deve mettere in conto di rinunciare a qualche miliardo di altri(e) ragazzi(e), ma se soffrisse questo come una rinuncia, ci sarebbe quanto meno da dubitare del suo innamoramento. Oggi, alla Chácara di recupero, c’è stata la cresima di Wanderson e di Ivornê, che hanno terminato i loro nove mesi di trattamento. Wanderson ha scritto una lettera a Dio, che noi non vi si saprebbe ridire. Erano presenti suo padre, sua madre, la moglie e i suoi tre bambini incantevoli. Beh, quella lettera, che lui è riuscito a leggere fino alla fine con voce strozzata, carica di tutte le umiliazioni subite e di tutto il dolore seminato negli anni, esprimeva una passione d’amore per quel Dio da cui si era sentito cercato e infine raggiunto. Ed era quel di più che Gesù si aspetta da chi si vuole suo discepolo e che permette di riscattare e ritrovare ogni altro amore perduto e riceverne il perdono e riprendere a vivere. La sua vita, questa volta.
I testi che la liturgia di questa XXIII Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro della Sapienza, cap.9,13-18; Salmo 90; Lettera a Filemone, 1,9b-10.12-17; Vangelo di Luca, cap.14, 25-33.
La preghiera della domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.
Oggi è memoria di Madre Teresa di Calcutta, missionaria della carità, e Maria di Campello, sorella universale.
Dobbiamo all’amica Giusi la conoscenza della Fraternità di Romena, di cui, proprio oggi, ci segnala il sito. E, neanche a farlo apposta, vi troviamo un brano di Maria di Campello, dal titolo “Contemplare il creato“, che scegliamo, così, di proporvi, nel congedarci, come nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Non mi stancherò mai di dirvi che considero un dovere sacro quello di uscire all’aperto e di contemplare la bellezza che ci attornia, e di salutare i luoghi amati, e tutte le creature. Vorrei che ognuno di noi si abituasse alla tenerezza verso ogni creatura, e a renderle servizio. Per esempio: passiamo nel bosco, ecco un alberello che ha bisogno di sostegno. Ecco un ramoscello secco, che si deve togliere dai giovani pini. L’alberello patisce se non gli si toglie il secco. Ecco i processionali da distruggere, sui cipressi, sui pini, sulle querce. Ecco una pianticina di passiflora, che deve essere aiutata nel suo abbarbicarsi. Ecco un cespuglio di fiori solitari nel bosco e sul prato… L’ammirazione e il rispetto ai fiori! Come vorrei ne fossimo tutte penetrate. Lasciamoli vivere all’aperto, e alla gioia dei nostri occhi contemplanti! Non sono le conversazioni spirituali o le letture che maggiormente ci insegnano. È il nostro cuore desto, attento, che amando può servirsi di tutto. Come è sacro il mistero che ci avvolge, e che miracoloso potere di amore ci tocca, ci sostenta quanto l’aria! Io sento il mistero sacro e il miracolo dell’amore in un attimo di comunione col Cristo quanto nella stella e nel passero. E del passero avrò sempre memoria, come della vespa che mi aspettava in cella, della farfalla che visse con me otto giorni, della coccinella e del bruchino lucente sotto il chiostro, del grillo che mi ha fatto compagnia per giorni e della rondinina che mi ascoltava mentre le dicevo la mia confessione in una vigilia della Madonna. Ognuno di questi ricordi mi è presente, e accresce la mia venerazione pensosa verso il mistero dell’amore. (Maria di Campello, Contemplare il creato).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.