Carissimi,
“Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito” (Mt 23, 2-4). Abbiamo accennato ieri ai moti d’impazienza che Gesù manifesta di tanto in tanto nei confronti dei religiosi, quando questi vogliono essere meglio degli altri, e il Vangelo di oggi introduce appunto un suo discorso, rivolto alla folla e ai suoi discepoli, per invitare quella e questi a saper guardare oltre le misere (e persino miserabili) forme dell’insegnamento e della testimonianza proposte da coloro che dovrebbero (o pretendono) esserne i soggetti privilegiati, e, perciò a non desanimare e a non desistere troppo facilmente dal lasciarsi interpellare o dall’intraprendere un cammino di fede. Un simile discorso potrebbe essere riproposto pari pari oggi a chi guarda da fuori la Chiesa e a chi ci vive dentro. Oggetto della denuncia è il comportamento di chi, in essa, incoerentemente predica bene e razzola male, ma anche quello di coloro che hanno fatto della religione non lo spazio per l’apprendimento e la pratica di una fraternità ritrovata e di una solidarietà diffusa, ma l’occasione per l’uso e l’abuso di un’autorità, guadagnata sulla manipolazione delle coscienze, a partire da ambizioni inconfessate e dal proprio desiderio di potere. Nessuno di voi, che volete essere miei discepoli, dice Gesù, si faccia, per favore chiamare maestro, o leader, o padre, né, peggio ancora, monsignore, eccellenza, eminenza, e quant’altro si riesca a immaginare. Chiamatevi e siate gli uni per gli altri soltanto fratelli. Con un unica autorità: quella del servizio reciproco.
Il nostro calendario ecumenico ci porta oggi la memoria di Rabbi Pinchàs di Korez, mistico ebreo, e ci ricorda il martirio della Comunità ebraica di Chinon.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Ezechiele, cap.43, 1-7a; Salmo 85; Vangelo di Matteo, cap.23, 1-12.
La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.
È continuato per tutto il giorno e dura ancora l’incendio delle aree boschive della nostra serra. Nessuna operazione di spegnimento è in atto, dato che neppure esistono i mezzi che rendano possibile contrastarlo. Così, non resta che aspettare che si calmi da solo, fino a fermarsi ed estinguersi. Nel pomeriggio, siamo stati a casa di João e Marlene, a preparare il battesimo del piccolo Carlos Eduardo, che si terrà domani. Noi non vorremmo esagerare, ma Lui era là.
Per stasera è quanto avevamo da dirvi. Dato che si è fatto tardi, ci congediamo qui, lasciandovi alla lettura di un fioretto di Rabbi Pinchàs di Korez, tratto da “I racconti dei chassidim” (Garzanti) di Martin Buber. È, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
A proposito delle parole della Scrittura “Egli è il tuo salmo ed egli il tuo Dio” (Dt 10, 21), Rabbi Pinhàs disse: “Egli è il tuo salmo; ed egli, lo stesso, è il tuo Dio. La preghiera con la quale l’uomo prega, la preghiera stessa è la divinità. Non come tu chiedi qualcosa al tuo compagno: un’altra cosa è lui, un’altra la tua parola. Non così nella preghiera che unisce le essenze. Colui che prega e crde che la preghiera sia qualcosa di diverso da Dio è come il supplicante a cui il re fa porgere ciò che ha chiesto. Chi invece sa che la preghiera stessa è divinità, è simile al figlio del re che prende dai tesori del padre ciò che desidera”. (Martin Buber, I racconti dei chassidim).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.