Carissimi,
“Mentre si trovavano insieme in Galilea, Gesù disse ai suoi discepoli: Il Figlio dell’uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà. Ed essi furono molto rattristati” (Mt 17, 22-23). Stamattina ci dicevamo che a consegnare nelle nostre mani il Figlio dell’uomo è Dio stesso (il cosiddetto “passivo divino” della Bibbia). E, nel Figlio, egli consegna se stesso con il suo significato, la sua verità. Perché noi, poi, ne facciamo un po’ ciò che vogliamo: assumerlo, sperabilmente, come verità della nostra vita, o, come spesso accade, snobbarlo, irriderlo, eliminarlo, ucciderlo. Ma, aggiungevamo, con il significato di Dio ne va del significato dell’uomo, o, meglio, di un certo uomo. Ed abbiamo ricordato la lezione dei rabbini, riportata da André Neher, nello spiegare il versetto di Genesi in cui Dio dice: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza” ((Gen 1, 26). Com’è che Dio parla al plurale? A chi si rivolge? Ed essi rispondono: si rivolge all’uomo, ad ogni uomo, e all’umanità intera. Egli ci vuole, infatti, liberamente associati a sé nel creare l’uomo che siamo chiamati ad essere. Leggendolo in prospettiva cristiana possiamo dire che, in Cristo, Dio consegna a noi il progetto dell’uomo perfetto, figura, a immagine sua, della libertà e della generosità del dono, perché noi lo si realizzi. Ma, come dicevamo, può succedere che noi si scelga altro. Si scelga di essere altro da Lui come uomini, e i risultati ci sono davanti, ma anche, e il che sarebbe peggio, come cristiani, o, persino, Dio non voglia, come pastori. E sarebbe catastrofico. Per esempio. In questi giorni ci è capitato di leggere sulla vostra stampa una certa presa di posizione di un vescovo austriaco. Ottimisti come siamo, continueremo ovviamente a sperare che non sia vera. Dunque, il nostro avrebbe sostenuto che, senza per altro voler giudicare nessuno (excusatio non petita, accusatio manifesta), le 21 giovani vittime del Love Party di Duisburg se la sono proprio cercata, dato che Dio giudica e punisce gli eventi peccaminosi. Il fatto è che, di tali eventi, il personalissimo dio di mons. Laun dev’essersene perduti per strada un buon numero d’altri (persino in ambito ecclesiastico). E c’è comunque da dire che, mentre per i peccatori comuni l’unica preghiera (e cioè, anche l’unico giudizio e l’unico enunciato teologico) di Gesù è quella che si lasciò scappare sulla croce: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”, per i suoi discepoli (soprattutto con carichi di responsabilità) che, smentendo quell’immagine, gli rendano un cattivo servizio, ha promesso – lo abbiamo letto nel Vangelo di ieri – che li sculaccerà mica male (Lc 12, 47). Noi pregheremo, comunque, perché questo gli (e ci) sia evitato. E non mancheremo comunque di interrogare noi stessi sul come e perché avvenga che così tanti giovani abbiano bisogno, alla ricerca di un’improbabile felicità, di impasticcarsi, stordirsi e consegnarsi alla cultura dell’eccesso e della trasgressione. Non sarà che fuggono anche dalla mortificante immagine di un dio che, di fronte all’errore dei suoi figli (che poi decidiamo sempre noi quale sia), sa solo dilettarsi al tiro a segno, in proprio o per interposta persona? Ed è sempre un dio talebano, sia pure sotto mentite spoglie, che ha già crocifisso di nuovo quello di Gesù. Anche solo con i “calci nel sedere” invocati in questi giorni dall’ineffabile vescovo emerito di Otranto per il governatore di Puglia e quelli come lui.
Oggi il calendario ci porta le memorie di Edith Stein, martire, assieme al suo popolo, dell’idolatria nazista; Frantz Jägerstätter, profeta e martire della non-violenza; e Betinho, testimone di giustizia e solidarietà.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Ezechiele, cap.1, 2-5.24-28c; Salmo 148; Vangelo di Matteo, cap.17, 22-27.
La preghiera di questo lunedì è in comunione con le religioni del subcontinente indiano: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.
Bene, per stasera è tutto. Noi ci si congeda con una citazione di Edith Stein, tratta dal suo “Source cachée” (Cerf). Che è, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
È soprattutto il sacramento in cui Cristo si fa presente in persona che ci rende membra del suo corpo. Partecipando al sacrificio e al pasto sacro, nutriti dalla carne e dal sangue di Gesù, diventiamo noi stessi sua carne e suo sangue. Ed è solo quando siamo membra del suo corpo, e nella misura in cui lo siamo per davvero, che il suo Spirito può vivificarci e regnare in noi: “È lo Spirito che vivifica”; perché è lo Spirito che dà vita alle membra; ma lo Spirito dà vita soltanto alle membra che sono già presenti nel corpo che vivifica. Così il cristiano nulla deve temere tanto quanto l’essere separato dal corpo di Cristo. Perché, se è separato dal corpo di Cristo, allora non ne è più membro; e se non ne è più membro, non è più vivificato dal suo Spirito. Ma noi diventiamo membra del corpo di Cristo non solo con l’amore, ma anche molto realmente nel formare una sola cosa con la sua carne. E questo si è avverato attraverso il cibo che ci ha offerto per provarci il desiderio che ha di noi. È per questo che lui stesso si è abbassato fino a venire in noi ed è per questo che ha modellato in noi il suo proprio corpo, affinche noi siamo una sola cosa, come il corpo è unito alla testa. Come membra del suo corpo, animate dal suo Spirito, noi offriamo noi stessi in sacrificio, “per lui, con lui e in lui”, e uniamo le nostre voci all’eterno rendimento di grazie. È per questo che la Chiesa pone sulle nostre labbra la preghiera dopo la Comunione: “Colmàti da un così grande bene, ti supplichiamo, Signore, fa che possiamo trarre frutti per la nostra salvezza e che mai cessiamo di cantare la tua lode”. (Edith Stein, Source cachée).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.