Carissimi,
“In quel tempo, Gesù passò, in giorno di sabato, fra campi di grano e i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a cogliere delle spighe e a mangiarle. Vedendo ciò, i farisei gli dissero: Ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare di sabato” (Mt 12, 1-2). Dobbiamo stare attenti a perdere il filo del racconto: dopo il discorso missionario (Mt 10), i capitoli di Matteo che stiamo leggendo (capp. 11-12) vogliono presentarci le reazioni che, nei più diversi ambienti, suscita la maniera di procedere sua e dei suoi, proprio sul terreno della missione. Abbiamo accennato a Giovanni Battista, figura di quelli che vogliono tutto e subito, i puri e duri della situazione, coloro per i quali Dio (o chi per esso) la finirà presto con questo mondo. Per loro, il comportamento di Gesù è problematico, solleva dubbi, dato che non rientra negli schemi che si erano precostituiti. All’altro estremo, ci sono le città del lago, che nessuno le smuove. Continuano imperterrite nel loro modo d’essere e d’agire. A Gesù, al massimo, riservano un po’ di curiosità, il tempo che avanza, e, dato che non guasta mai, un po’ di turismo religioso. Tornati però a casa vale la regola: l’importante è che stiamo bene noi, gli altri possono pure andarsene all’inferno. Poi ci sono quelli che, appunto, “possono pure andarsene all’inferno”: quanti sono vittime della situazione, ciascuno a modo suo, o tutti insieme, angosciati, affaticati e oppressi. Nei quali la parola di Gesù trova una certa risonanza. Ne intendono non una qualche verità teorica, ma la verità del suo approssimarsi, del suo interessarsi a loro, del suo agire a loro favore. Il Vangelo che abbiamo ascoltato oggi ci presenta la reazione di un gruppo di farisei, su un episodio specifico. Beh, diciamo subito che i farisei dei Vangeli non sono necessariamente i farisei della storia. I quali erano per lo più brava gente, studiosa, sensata, aperta, e come tale benvoluta dal popolo. Ma, come altri gruppi religiosi e non (pensiamo un po’ ai cristiani), conoscevano contrasti, divisioni, differenziazioni, ed anche deplorevoli comportamenti, inutili rigidità, doppiezze e ipocrisie. Come, del resto, denuncierà a più riprese lo stesso Talmud, salvandone comunque almeno in parte l’insegnamento e l’attaccamento alla tradizione orale. Quando i Vangeli vengono messi per iscritto (tra il 70 e il 100 d.C), i farisei non esistono più, soppiantati dal giudaismo rabbinico, che si svilupperà per buona parte in contrapposizione proprio al loro rigorismo. Viene da pensare che, se i Vangeli non hanno interesse a fomentare un’inutile polemica contro una formazione scomparsa, utilizzino questa, nondimeno, come immagine dei rischi possibili che corre una comunità religiosa (ma anche il “religioso” che è in noi), ogni volta che dimentica il Principio misericordia che è all’origine di tutto. E noi che pensavamo di cavarcela con un “che cattivi quei farisei!”, ci troviamo a dover fare i conti con noi stessi. Con Gesù, lì davanti a noi, che non cessa di ripeterci: “Il Figlio dell’uomo è signore del sabato”. Lui, certo, per primo, ma, dopo di Lui, anche ogni altro uomo. Perché l’uomo, la sua vita, la sua vita in pienezza, è la priorità di Dio. Per questo è signore del sabato e della domenica e di ogni altro precetto.
Il martirologio latino-americano ci porta anche la memoria di José Gumilla, gesuita, difensore degli Indios.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Isaia, cap.38, 1-6.21-22.7-8; Salmo (Is 38, 10-16); Vangelo di Matteo, cap.12, 1-8.
La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica che professano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.
Nella ricorrenza delle feste di Maria a noi capita spesso di ricorrere ai testi di don Tonino Bello, che ne è certo uno dei cantori più capaci di intenderne il significato e di leggerne, oltre ogni facile devozionismo, la presenza nella storia di ogni epoca. Anche la nostra. Dal suo libro “Maria donna dei nostri giorni”(Jesus) prendiamo questa preghiera che vi proponiamo, nel congedarci, come nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Santa Maria, donna dei nostri giorni, vieni ad abitare in mezzo a noi. Tu hai predetto che tutte le generazioni ti avrebbero chiamato beata. Ebbene, tra queste generazioni c’è anche la nostra, che vuole cantarti la sua lode non solo per le cose grandi che il Signore ha fatto in te nel passato, ma anche per le meraviglie che egli continua a operare in te nel presente. Fa che possiamo sentirti vicina ai nostri problemi. Mettiti, allora, accanto a noi, e ascoltaci mentre ti confidiamo le ansie quotidiane che assillano la nostra vita moderna: lo stipendio che non basta, la stanchezza da stress, l’incertezza del futuro, la paura di non farcela, la solitudine interiore, l’usura dei rapporti, l’instabilità degli affetti, l’educazione difficile dei figli, l’incomunicabilità perfino con le persone più care, la frammentazione assurda del tempo, il capogiro delle tentazioni, la tristezza delle cadute, la noia del peccato… Facci sentire la tua rassicurante presenza, o coetanea dolcissima di tutti. E non ci sia mai un appello in cui risuoni il nostro nome, nel quale, sotto la stessa lettera alfabetica, non risuoni anche il tuo, e non ti si oda rispondere: “Presente!”. Come un’antica compagna di scuola. (Antonio Bello, Maria donna dei nostri giorni).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.