Carissimi,
“Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo” (Mt 10, 28). Continua il discorso missionario e l’avvertimento che Gesù rivolge ai suoi discepoli circa le inevitabili persecuzioni di cui saranno oggetto. Stamattina ci dicevamo che c’è persecuzione e persecuzione e noi dobbiamo sempre tenere a mente il discorso delle beatitudini, per riconoscere quali sono le persecuzioni “a causa del Suo nome”. Quand’anche ogni persecuzione sia male in se stessa, ve n’è una che è però oggetto della beatitudine proclamata da Gesù ed è quella rivolta a chi ha fame e sete di giustizia, a chi lotta, perciò, in favore della vita – e di una vita piena, dignitosa, significativa – di quanti se la vedono negata. Non si parla dunque, in prima istanza, di una persecuzione religiosa, se non quando e nella misura in cui la religione assuma e si identifichi nella lotta per la pace e la giustizia. Ma essa si riferisce, prima e più ancora, a quella patita dalle moltitudini sterminate (religiose o meno, non importa), la cui fame e sete di giustizia si esprime nei suoi bisogni più elementari, è, cioè, fame di cibo, sete di acqua, di medicinali di base, di quanto basta per sopravvivere. E, poi, via via, nella rivendicazione di altri bisogni, diritti, libertà. Ora, è logico pensare che i discepoli e, perciò, anche le chiese, se sapranno dar voce a questa basilare fame e sete di giustizia – il che non è uno scherzo, perché chiede di ripensare per intero il sistema economico su cui il mondo si regge – avranno contro i poteri forti di questo sistema. Che, o li perseguiteranno violentemente, o, più facilmente, cercheranno di renderli innocui, conquistandoli alla loro causa e facendone consapevoli meccanismi di organizzazione del consenso, o rendendoli paciosi distributori o fruitori di riti e sacramenti che, privati del carattere dirompente che deriva loro dal Vangelo, scandiranno (sempre meno, del resto) le diverse tappe della vita personale e le celebrazioni di quella civile. La parola che Gesù ci rivolge oggi nel Vangelo è dunque un invito al coraggio, a non rinnegare e vergognarci del suo progetto, a non temere chi può attentare in vario modo alla nostra vita, ma a fuggire piuttosto quelle scelte che, oltre a non evitarci comunque la morte, farebbero della nostra storia oggetto si scarto e rifiuto, al pari di quelli che, ai tempi di Gesù, venivano bruciati giorno e notte nella Geènna (ge-hinnam), la discarica di Gerusalemme.
Oggi le chiese copta, ortodossa e cattolica fanno memoria di Cirillo d’Alessandria, pastore e padre della Chiesa. Il martirologio latinoamericano ricorda P. Faustino Villanueva, maritire della solidarietà in Guatemale. Noi ricordiamo anche i 51 Martiri ebrei di Berlino, vittime del fanatismo religioso nel 1519.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Isaia, cap.6, 1-8; Salmo 93; Vangelo di Matteo, cap.10, 24-33.
La preghiera del sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.
Anche per stasera è tutto. Noi ci congediamo qui, lasciandovi ad un brano del “Commento sul Profeta Isaia” di Cirillo d’Alessandria. Che è, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Il beato profeta Isaia dice: Signore Dio nostro, donaci la pace, poiché ci hai dato tutto (Is 26,12). Se ci darai la pace abbonderemo di ogni bene e diverremo partecipi di tutti i tuoi doni. Ma è necessario vedere di quale pace si tratta. Difatti, o si chiede lo stesso Cristo: Egli infatti è la nostra pace (Ef 2,14) secondo la Scrittura, e per tramite suo siamo uniti anche al Padre con una parentela spirituale. Oppure queste parole intendono quelli che sono morigerati, docili al freno e pronti a tutto quanto piace a Dio: costoro sono pieni d’amore e hanno pace con il Signore. Del resto la pace è un vero dono di Dio, e ci viene dalla generosità divina. Donaci, dunque, Signore, di essere in pace con te, e tolto di mezzo l’empio e detestabile peccato, fa’ che ci uniamo spiritualmente a te per la mediazione di Cristo. Lo esprime bene san Paolo, dicendo: Giustificati per la fede noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo (Rm 5,1). Quando ciò avverrà, saremo possesso ed eredità di Dio. Per questo sapientemente è detto: Signore, possiedici; fuori di te non conosciamo nessuno, solo il tuo nome invochiamo (Is 26,13). È necessario, infatti, che quanti sono in pace con Dio conformino la loro vita solo a lui, in comunione costante con lui, sì da non conoscere altri che lui, e da non poter nemmeno pronunziare il nome di un qualunque altro dio fittizio. Egli solo, infatti, dev’essere invocato, poiché egli solo è il nostro Dio, secondo natura e verità, come ci è stato insegnato per bocca di Mosè: Adorerai il Signore Dio tuo, e servirai solo a lui e al suo nome (Es 20,5; Dt 6,13). (Cirillo d’Alessandria, Commento sul Profeta Isaia, III, 1).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.