Carissimi,
“Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: Le folle, chi dicono che io sia? Essi risposero: Giovanni il Battista; altri dicono Elìa; altri uno degli antichi profeti che è risorto. Allora domandò loro: Ma voi, chi dite che io sia? Pietro rispose: Il Cristo di Dio” (Lc 9, 18-20). Giovedì sera, quando noi si è meditato questo vangelo, dopo tanto tempo a casa di Nesona, il vecchio Saramago non era ancora morto. Né, perciò, l’Osservatore Romano aveva potuto ancora dedicargli il suo severo affondo. Eliane, aprendo la serie d’interventi sul brano appena letto da Adriana, aveva messo in rilievo il fatto che Gesù, quando ascolta ciò che la gente pensa di lui, mica si arrabbia. Anzi, probabilmente, considera normali quei giudizi della folla. Un po’ deluso, forse, resta del silenzio dei suoi. D’altro canto, come si può rispondere così, di primo acchito, ad una domanda tanto impegnativa? Cosa ne capiamo, anche noi, degli altri, persino dei nostri amici? Di fatto, l’unico che azzarda a parlare è Pietro, e lo fa solo perché, come Gesù afferma chiaramente nel Vangelo di Matteo (Mt 16, 17), ha avuto la soffiata del Padre. Dice: sei il Messia. Però, pensava si trattasse di tutt’altro. Il suo esatto contrario. Tanto che Gesù, perde la pazienza, e l’apostrofa con una parolaccia, che la nostra gente, ancor oggi, ha paura di ripetere. Gli dà del diavolo, gli dice: Satana (“Cruz credo”, si dice qui e ci si segna). La dice a Pietro, che sarà, per la tradizione cattolica, il suo vicario. Non la dice a quelli “di fuori” che si erano fatta un’idea strampalata di Lui. Quelli, li rispetta, diceva Eliane. Come dovremmo rispettarli anche noi. Se abbiamo ricevuto davvero la soffiata del Padre, e l’abbiamo intesa nel senso giusto. Che è la Croce. Quel di più di amore, che sa vedere anche la verità di cui si fa carico l’altro che la pensa diversamente da noi. Si tratti pure di un anticlericale fazioso come Saramago. Che ci sarà pure una ragione. Chissà, magari l’antievangelica alleanza della Chiesa con il regime di Salazar (e mica solo con quello), che si inaugurava “L’Anno della morte di Ricardo Reis”, il 1936 (per dirla col titolo di uno dei suoi libri). Del resto, se e quando Dio e Gesù Cristo piacciono ai carnefici, correndo il rischio di non piacere più alle loro vittime, c’è da chiedersi che razza di Dio e che razza di Gesù Cristo ci è capitato di predicare. E, darci, nel caso, una mossa.
I testi che la liturgia di questa 12ª Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Zaccaria, cap.12,10-11;13,1; Salmo 63; Lettera ai Galati, cap.3,26-29; Vangelo di Luca, cap.9, 18-24.
La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.
Il nostro calendario ecumenico ci porta oggi la memoria di Padre Rafael Palacios, martire per amore della sua gente in El Salvador, di Nicola Cabàsilas, teologo laico, e di Abu Yazid al Bistami, mistico musulmano.
Oggi pomeriggio, per Brasile-Costa d’Avorio, a casa di Cuca, si era scommesso (senza soldi, ovviamente, dato che non ce n’è) per il 2 a 1. Per non umiliare troppo la madre Africa, ma anche per darle la soddisfazione di vedersi superata da questi suoi figli oltreoceano (come dovrebbe desiderare ogni buona madre e padre). E, difatti, così è stato, almeno per la nostra personalissima contabilità. Se, per dare ragione a Eriksson (e mica solo lui), che ha considerato falloso il secondo goal, per altro bellissimo, del nostro Luis Fabiano, glielo scontiamo. Resta comunque il primo e quello di Eliano (e così fan due) contro quello di Drogba. A favore del quale, coerentemente, tiferemo contro la Corea del Nord. Noi, intento, via per gli ottavi di finale.
Beh, per stasera è tutto. Noi ci congediamo qui, lasciandovi ad un brano di Nicola Cabàsilas, tratto dal suo “La vita in Cristo”. Che è, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Dei figli è proprio l’amore perfetto che bandisce ogni timore. Chi ama così non deve temere di perdere la mercede come i mercenari, o di ricevere le battiture come gli schiavi: questo puro amore è proprio solo dei figli. Così la grazia infonde la carità vera nell’anima degli iniziati ai misteri. Quale sia poi la sua operazione in loro e quale esperienza doni, lo sanno coloro che l’hanno conosciuta. In linea di massima si può dire che la grazia infonde nell’anima la percezione dei beni divini: dando a gustare grandi cose, ne fa sperare ancora di più grandi e fondandosi sui beni già ora presenti, inspira ferma fede in quelli ancora invisibili. La nostra parte invece è custodire la carità. Non basta semplicemente incominciare ad amare ed accogliere in sé questa passione; bisogna conservarla e alimentare il fuoco perché duri. Ora, restare nell’amore, nel quale è ogni beatitudine, significa appunto restare in Dio e possederlo dimorante in noi. Questo si attua, e l’amore sarà ben radicato nella nostra volontà, quando noi vi giungiamo mediante l’osservanza dei comandi e delle leggi del Diletto Salvatore. Perciò Cristo dice: Se osserverete i miei comandi rimarrete nel mio amore (Gv 15,10). La vita beata è frutto di questo amore. L’amore infatti concentra la volontà dispersa da ogni dove, la distacca da tutte le altre cose e dallo stesso io volente, per farla aderire a Dio solo. (Nicola Cabàsilas, La vita in Cristo, Libro V, cap.VI).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.