Carissimi,
“Riguardo al fatto che i morti risorgono, non avete letto nel libro di Mosè, nel racconto del roveto, come Dio gli parlò dicendo: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe? Non è Dio dei morti, ma dei viventi!” ( Mc 12, 26-27). I sadducei, il partito che rappresentava l’aristocrazia sacerdotale, ma anche i ricchi proprietari terrieri e i commercianti più facoltosi, non credevano nella risurrezione dei morti, che, invece, era dottrina accettata dai farisei ed anche da Gesù e dai suoi seguaci. Sicché, un gruppetto di quelli arriva, un giorno, da Gesù, per polemizzare con lui su questa tematica, ma ancor più con l’intento, neanche troppo velato, di mettere alla prova la sua capacità dialettica e di coprirlo, così, di ridicolo. Il caso che gli presentano è volutamente paradossale, ma serve a dimostrare l’importanza che la Legge attribuisce all’esistenza terrena come “luogo” in cui la promessa deve trovare il suo compimento e perciò anche l’illusorietà del suo riscatto in un improbabile aldilà. Se Mosè ha imposto che una donna, rimasta vedova senza aver avuto figli, debba sposare il cognato, perché questi possa generare un figlio, e quindi garantire una discendenza, anche al fratelo defunto, non può che significare che tutto si gioca qui sulla terra. Ma, se come insegnano i farisei, c’è un aldilà, una donna che sia rimasta vedova, oltre che del marito, anche dei sei cognati che, uno dopo l’altro, l’abbiano sposata, di chi sarà sposa, nella risurrezione? Gesù, senza scomporsi troppo, si limita a rispondere ai suoi interlocutori di studiare un po’ di più le Scritture, e forse arriveranno a capire. Comunque, nella risurrezione, non si prende moglie, né marito. “Grazie a Dio!”, ha commentato ad alta voce dona Marlene, stasera nella chiesetta dell’Aparecida, e ha aggiunto subito: un marito, in questa vita, basta e avanza, e non si sente proprio bisogno di incontarlo di nuovo nell’eternità. Il che non è probabilmente proprio ciò che voleva suggerire Gesù, ma va bene comunque. Ercí, quando gli abbiamo chiesto di dire la sua, ci fa: Io credo che si debba vivere come risorti qui, cioè volendosi bene, rispettandosi, facendo del bene. Poi, dopo la morte, la cosa non mi preoccupa. Forse, almeno in parte Ercí ha ragione: noi ci si potrebbe anche accontentare. D’altra parte, l’apostolo Paolo insiste anche lui sul fatto che noi si debba vivere come risorti. Eppure, anche se questo bastasse a noi, non basta a Lui. Sembra che Lui non possa fare a meno dei suoi figli. Dire Dio è dire la vita. E se cinquecento anni dopo la loro morte, Dio si può presentare a Mosè come il Dio d’Abramo, d’Isacco e di Giacobbe, vuol dire che loro sono vivi, se no, Lui sarebbe morto. Sì, noi, alla fine, potremmo anche morire, ma chi è vissuto senza vivere, senza vivere la vita piena e abbondante che gli è stata promessa, Lui non se la sentirà di lasciarlo morire definitivamente, senza fargli vedere il compimento della sua promessa. Questa è la risurrezione. Che è anche, perciò, il significato di Dio. Noi, di questa lotta per la vita, per la risurrezione, sappiamo fare il significato della nostra vita? Siamo per gli altri agenti di vita e di risurrezione, o agenti di morte?
Bene, il calendario ci porta oggi le memorie di Blandina e compagni, martiri in Gallia, di Jacques de Jesus, carmelitano, martire sotto la dittatura nazista, e di Giulio Facibeni, prete per gli altri.
I testi che la liturgia del giorno propone alla nostra riflessione sono tratti da:
2ª Lettera a Timoteo, cap.1, 1-3.6-12; Salmo 123; Vangelo di Marco, cap.12, 18-27.
La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti ricercano l’Assoluto della loro vita, nella testimonianza per la pace, la fraternità e la giustizia.
Per iniziativa di Gerson, gli alunni e alunne dell’APAI, la scuola per persone con handicap, che continua a funzionare qui in città, si sono trasferiti con armi, bagagli e insegnanti, nello spazio dell’antico Monastero dell’Annunciazione, dove hanno trascorso una mattinata all’insegna del contatto con la natura, del convivio allegro, di momenti di preghiera e di musica, e che si è conclusa con una gustosa refezione preparata da dona Almerita e dona Maria Rita. Mai, come in occasioni del genere, diventa vero che Gesù è passato a visitare la sua casa.
Noi ci congediamo qui, lasciandovi ad una breve citazione di Jacques de Jesus, tratta da una sua riflessione dettata in un ritiro tenuto al Carmelo di Pontoise, nel settembre del 1943. La troviamo nel sito di Le Carmel en France ed è, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Ci sono due maniere di comunicarsi. C’è la maniera sacramentale: ricevendo l’ostia, che ci consente di portare con noi il Cristo presente in noi. E c’è un’altra maniera che non viene mai meno; è Dio che si presenta a noi attraverso ogni secondo che noi viviamo; è Dio che viene a noi sotto le sembianze di un lavoro, o di una persona, del dolore, della gioia, […] è Dio che viene a noi, ma noi non sappiamo, non vogliamo vedere che è Dio che viene a noi così; e che, quale che sia il volto sotto cui si nasconde, quale sia la veste che indossa per presentarsi a noi, è il Dio sapiente, onnipotente, il Dio pieno d’amore” (Jacques de Jesus, Retraite au Carmel de Pontoise, septembre 1943).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.