Carissimi,
“Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17, 1-3). Dominga, stamattina, chiedeva cosa vuol dire questa richiesta che Gesù fa al Padre di essere da lui glorificato, perché possa, a sua volta, glorificarlo. Forse, nell’imminenza dell’ora, per la quale è venuto, Gesù chiede di rendere evidente nella sua persona, come mai prima d’allora, il “chi è” (o, anche, il nome) del Padre nella sua verità più profonda. E la gloria che Gesù rende al Padre, ci riguarda tutti ed è, a partire dalla rivelazione imminente – l’evento della Croce -, il suo comunicarci la vita eterna, il cui significato l’evangelista sintetizza nel conoscere Dio e il suo inviato, Gesù. Dove “conoscere” è assai più del semplice sapere: è sperimentare e vivere. Sentirsi raggiunti dal suo significato e rifletterlo. L’ultima preghiera di Gesù – che già non è più nel mondo (v.11) – si solleva fino ad abbracciare tutte le generazioni future, avendo, tuttavia, cura di porre un discrimine netto: Lui prega per coloro che il Padre gli ha affidato, non prega per il mondo. Che non è l’universo, ma il sistema iniquo che, in ogni tempo, genera ingiustizia, oppressione, violenza. Un sistema, dal quale, chi vuol essere suo discepolo deve necessariamente sentirsi estraneo: “nel mondo, ma non del mondo”. Forse sarebbe il caso che certi prelati, prima di concedersi a facili scorribande in discutibili salotti e a imprudenti frequentazioni mondane, ci pensassero un po’ su. Sempre che ci credano ancora. Come diceva Lui: “Perché le parole che hai dato a me, io le ho date a loro, ed essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato” (v.8). Sarà? Questo, in ogni caso, vale anche per noi.
Oggi, il calendario ci porta la memoria di Giuseppe Lazzati, cristiano al servizio di una Città dell’Uomo, e quella dei Martiri ebrei della Prima Crociata.
I testi che la liturgia odierna odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.20, 17-27; Salmo 68; Vangelo di Giovanni, cap.17, 1-11a.
La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.
“È stato un cristiano che ha saputo dare ragione della sua fede nel Signore Risorto con dolcezza e con rispetto, e con retta coscienza. Nei confronti non soltanto della città dell’uomo, ma della stessa comunità ecclesiale”: così, qualche mese fa, il Card. Carlo Maria Martini ricordava la figura di Giuseppe Lazzati. Noi speriamo di arrivarci, un giorno. Dello stesso Lazzati, nel congedarci, vi proponiamo una citazione tratta dal suo “Laicità e impegno cristiano nelle realtà temporali” AVE). Che è, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Questo carattere vitale, proprio della cultura cristiana, sta, dunque, in piedi nella misura in cui chi la professa, di fatto la vive non per imporla ma per proporla con una coerente testimonianza di vita. Quella testimonianza di vita propria di chi è chiamato a dare senso cristiano alla sua presenza nel le realtà temporali. E proprio qui che si delinea nitidamente l’intrinseco legame fra impegno secolare e cultura cristiana. Più specificamente, è qui che prende tutto il suo rilievo la valenza politica di tale cultura. A togliere ogni equivoco che questa espressione potrebbe provocare, vale la pena precisare che con essa si vuoi intendere, anzitutto, una cultura capace di offrire una compiuta visione dell’uomo, senza diminuzione alcuna di progetti arditamente concepiti in aderenza a non rinunciabili stimoli evangelici di giustizia, di libertà, di amore, ma così da realizzarli nel concreto delle nuove situazioni storiche e del loro rapido divenire in vista della crescita personale e comunitaria dell’uomo. Ancora. Si vuoi intendere una cultura che, in ordine alla costruzione della città dell’uomo, è capace di mobilitare una leale collaborazione con forze generate da altre matrici culturali, anche in vista dell’arricchimento che da esse può venirle, ma conservando intatta l’originalità della propria capacità di progetto, pur nella gradualità della sua estrazione. Originalità che sola dà senso al contributo in cui la collaborazione si risolve. Infine, si vuoi intendere una cultura che si fa capace di pensare la gestione del potere come supremo servizio alla comunità, salvandolo dalla corruzione che deriva dall’ idolatria del potere stesso e del suo stesso asservimento agli altri idoli che lo riducono a loro strumento. Come si vede, parlare di valenza politica della cultura, lungi dall’evocare equivoche strumentalizzazioni, significa alludere al pieno riscatto della politica medesima (nel senso di attività politica) che, proprio perché sorretta da una cultura cristiana, riscopre nell’uomo il suo punto di partenza e il suo fine e, dunque, riscopre il suo senso più vero. (Giuseppe Lazzati, Laicità e impegno cristiano nelle realtà temporali).
Ricevete l’abbraccio dei vostri frateli e sorelle della Comunità del bairro.