Carissimi,
“Disse allora Gesù: Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite” (Gv 8, 28-29). La cosa più facile, ma, perciò, anche la più sospetta e discutibile, è confinare queste diatribe che, nel Vangelo di Giovanni, oppongono Gesù alle autorità religiose del suo tempo, nel quadro “storico” di un dissidio tra Gesù (con la sua comunità) e il giudaismo. Perché, in questo caso, sarebbero solo affari loro, non Vangelo, cioè, Buona Notizia, per noi. Gesù chiede invece ai suoi interlocutori (ossia, anche a noi, oggi) di richiamare il significato più vero dell’immagine di Dio (l’Io-sono della rivelazione biblica) che, per molti segnali, sembra essersi perso per strada. Gesù non è impaziente di essere riconosciuto Dio o quasi (in queste frenesie vanesie è più facile cada un qualche premier di vostra conoscenza) e di aggiungere magari una nuova religione nella vetrina di quelle esistenti. Chiede invece di guardare al suo agire come al cuore più vero e profondo della sua religione. E forse anche di ogni altra. Allora “morire nel nostro peccato” (v. 21) non dipenderà tanto dal rifiutarsi di dire che Gesù è Dio, quanto dal negarsi ad assumere l’Amore (che si é manifestato in Gesù) come ragione e fine del proprio esistere. Quell’amore che fa dell’evento della Croce, per noi cristiani, l’epifania più alta della divinità. Già, ma qual è allora l’immagine di Dio che la nostra vita emana e che le nostre chiese trasmettono?
Oggi, il nostro calendario ci consegna le memorie di Turibio di Mongrovejo, pastore e difensore degli indios, e di Nikolai Berdyaev, filosofo e pensatore religioso.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro dei Numeri, cap.21, 4-9; Salmo 102; Vangelo di Giovanni, cap.8, 21-30.
La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.
Noi avevamo suggerito che la camera ardente fosse su alla chiesetta dell’Aeroporto, ma Benedito, il figlio di dona Geralda è stato deciso: lei si era raccomandata che la veglia funebre fosse a casa sua. E così è stato. Non importa che si sia dovuto mettere la bara di traverso, perché non ci stava per il lungo, per come è piccola la sala. D’altra parte, come succede spesso, almeno da questa parti, per la gente che si trascina dietro il peso di antiche discriminazioni, la casa è sempre stata anche la chiesa, di una religione di cui i poveri sono insieme ministri e fruitori, con i loro canti, preghiere e devozioni. E i sacramenti dell’amicizia, dell’allegria e del pasto condiviso.
Per stasera è tutto. Noi ci si congeda con una citazione di Nikolai Berdyaev, tratta dal suo libro “The Beginning and the End” (Harper), che è, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
La verità non è tanto liberazione e salvezza in questo mondo, quanto liberazione e salvezza da questo mondo. La piena accettazione della verità del Vangelo, l’assenso alla sua effettiva realizzzione, porterebbe alla distruzione degli stati, delle civiltà, delle società organizzate secondo le leggi di questo mondo – alla fine di questo mondo che in tutti i modi si oppone alla Verità del Vangelo: così gli uomini e le nazioni hanno corretto il Vangelo, l’hanno riempito con “verità” di questo mondo che erano realmente pragmatiche, perché erano false e adatte alla menzogna. Il riconoscimento e la confessione della verità è connesso non con la utilità e il profitto, ma con il rischio e il pericolo. (Nicholai Berdyaev, The Beginning and the End).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.