Carissimi,
“Vennero i farisei e si misero a discutere con Gesù, chiedendogli un segno dal cielo, per metterlo alla prova. Ma egli sospirò profondamente e disse: Perché questa generazione chiede un segno? In verità io vi dico: a questa generazione non sarà dato alcun segno. Li lasciò, risalì sulla barca e partì per l’altra riva” (Mc 8, 11-13). È tutto il Vangelo di oggi. E noi, stamattina, lì per lì, non si sapeva bene dove cercare la “buona notizia”. La tendenza a cercare un segno circa l’affidabilità di una persona appartiene a tutti. “Mi vuoi bene tu? Sì, ma quanto?” È un gioco che si fa spesso tra innamorati o tra genitori e figli. E la risposta è il segno minimo che cercavamo. Mica che, necessariamente, sia veritiera, però è quella che ci induce a fidarci. Ora, se qualcuno, ci viene a dire di essere Dio, o anche solo di parlare in suo nome, a maggior ragione si è portati a chiedergli un segno, perché, se siamo seri, ne va della nostra vita. Eppure, i discepoli, quando Lui ha chiesto loro di seguirlo, mica gli hanno chiesto qualche segno particolare. Forse perché quella chiamata era già l’inizio di una storia d’amore, un amore a prima vista, che si darà poi tutto il tempo necessario per svilupparsi, crescere, comprendersi. È come fosse, appunto, il segno – povero, senza altre conferme, per il momento – rappresentato da un qualsiasi “ehi, dico a te, ti voglio bene, seguimi”. I discepoli erano, per lo più, gente ignorante, che di religione sapeva poco o nulla. Così si fidano – si affidano – a naso. I farisei, invece, brava gente, tutta casa, lavoro e sinagoga, di religione, e perciò di Dio, sapevano quasi tutto. E vogliono, giustamente vederci chiaro, far quadrare i conti tra questa nuova immagine di Dio che Gesù veniva proponendo e quella che loro avevano imparato a desumere dalla Scritture. Ma nella loro richiesta, a ben vedere, era già racchiusa anche la loro risposta. No, davvero, Gesù, non aveva nulla da spartire con il Dio dei padri. D’altra parte, mica era colpa loro. Generazioni di sacerdoti e di catechisti, per garantire ordine e sicurezza, avevano proposto, molti, probabilmente, in perfetta buona fede, l’immagine di un Dio gendarme, censurando tutto ciò che, nei testi sacri, non collimava con questa verità, ed ora veniva questo rabbino di provincia a scuotere tutto l’edificio. Se proprio voleva convincerli, doveva fare qualcosa di grosso: ci vuol altro che accogliere i peccatori, guarire qualche malato, nutrire qualche migliaio di persone. A loro modo, avevano pure ragione, perché questi non sono segni. Questo è Dio, “quel” Dio, che si rende presente. Il quale, davanti alla loro richiesta, sospira profondamente e dice: spiacente, segni non ve ne darò. Anche se Matteo e Luca, nel racconto parallelo, aggiungono: Salvo il segno di Giona. Che è quello del perdono. O del dono incondizionato di sè, fino alla morte. Suggellato dalla risurrezione. Il Vangelo aggiunge poi: lasciatili con un palmo di naso, risalì in barca con i suoi e si avviò verso l’altra riva. Beh, la bella notizia è questa. Che Gesù mica perde tempo in discussioni teoriche con gli intellettualini di turno. Sale, qui da noi, sui camion dei boia-fria, o lì da voi, su quelli dei pummarò; o sull’autobus della Moreira, o sul treno dei pendolari. Noi, forse, non capiamo ancora niente di Lui; Lui però ha già fiducia in noi. E partiamo, così, assieme, verso l’altra riva. Solcando il mare della vita.
Oggi il nostro calendario ci porta la memoria di Benjamin J. Salmon, profeta di pace e di nonviolenza negli Stati Uniti, e Maria Elena Moyano, martire per la giustizia, la pace e la fraternità in Perù.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera di Giacomo, cap.1,1-11; Salmo 119, Vangelo di Marco, cap. 8,11-13.
La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.
Beh, si è fatto tardi ed è giunta l’ora di congedarci. Prima, però, vi proponiamo di leggere questi stralci di lettere di Maria Elena Moyano, che troviamo nel sito di Giovani e Missione. Raccontano di quando noi si lascia Gesù salire sulla barca. E sono, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Noi donne abbiamo molta forza. Crediamo in quello che stiamo costruendo; non bisogna avere paura. Cerchiamo il benessere della gente, la solidarietà, la giustizia. Piuttosto bisogna discutere con la gente di Sendero. Io l’ho fatto. Gli dico che non sono i soli disposti a sacrificare la loro vita alla lotta per lo sviluppo, per la giustizia, perché anche molta gente lo è, ma senza terrore e morte. Ecco perché non considero più Sendero un gruppo rivoluzionario. Esso è divenuto un gruppo terrorista. Ma la sconfitta di Sendero deve essere politica ed ideologica. Loro non conducono solamente una lotta milítare. Di fronte a una proposta politica di Sendero, è necessario che nasca un’alternativa diversa. Per questo io dico che dobbiamo rivolgerci alle forze della sinistra. Questo è quello che abbiamo fatto noi donne: prima della rottura della sinistra ci siamo avvicinate, inutilmente, a Barrantes, a Diez Canseco e a Dammert. Tutti e tre ci hanno trattato male. La sinistra si è divisa ed ecco qui le conseguenze. Il paese ha bisogno di quella unità. C’è gente che mi chiede se ho paura. A volte ce l’ho, ma io ho molto vigore e forza morale. Sono sempre stata disposta a offrire la mia vita. Ho fede. Se le donne di Lima stanno rispondendo, qualcosa si può fare. Se il popolo si organizza e centralizza gli sforzi, possiamo sconfiggere Sendero. Le cose non sono facili, ma nemmeno impossibili. (Maria Elena Moyano, dalle Lettere).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.