Carissimi,
“In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda” (Lc 1, 39). È questa fretta, questa premura, e questa gioia che sembra trapelare, che possono rivelare se anche noi si sia gravidi(e) di Dio, portatori davvero della sua parola, del “lieto messaggio” che Lui è, o se siamo solo professionisti, o dilettanti, della religione, che si gingillano con, ma anche ammuffiscono sui suoi simboli, senza arrivarne mai al cuore. Stasera il Pastor Raimundo diceva che i cristiani dovrebbero essere riconoscibili a vista e non dovrebbero poter passare per strada tranquilli, senza che gli altri se li contendessero: entra, per favore, anche solo un attimo nella mia casa, perché la tua presenza è benedizione. E, invece. Noi siamo gravidi di niente, mossi da altre urgenze, altre preoccupazioni, altre allegrie, tutte lecite, lecitissime, persino buone, e in ogni caso sempre a fin di bene, ma che ci portano lontani dalle altrui attese. E, perciò, anche dalle Sue. Del quale è detto: “Non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato, cose tutte che vengono offerte secondo la legge” (Eb 10, 8), che più chiari di così si muore. Ma manca ancora l’essenziale. Che è l’offerta di Cristo (e, aggiungeva il Pastor Raimundo, dei “semplicemente” cristiani: i piccoli Cristo, i seguaci di Cristo, gli imitatori di Cristo): “Ecco, io vengo per fare la tua volontà” (v.9). Maria, quel giorno, aveva già imparato dal piccolo zigote che si portava dentro. O, magari, glielo stava insegnando. Al suo imbarcarsi in questa inedita avventura terrena.
I testi che la liturgia di questa IV Domenica d’Avvento propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Michea, cap.5, 1-4a; Salmo 80; Lettera agli Ebrei, cap.10, 5-10; Vangelo di Luca, cap.1, 39-45.
La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.
Oggi, noi si ricorda Raoul Wallenberg, giusto tra le nazioni,
“O Bambino di Betlemme, lunga si è fatta la nostra attesa, e siamo stanchi di questa situazione, stanchi anche di noi stessi”. Così, carissimi fratelli e sorelle, supplicavo il Dio-Bambino durante gli interminabili giorni di guerra che hanno insanguinato lo scorso Natale nella Striscia di Gaza. Le nostre armi, per resistere alla rassegnazione e allo sconforto, sono state la preghiera e la comunione tra le Chiese e i cristiani di tutto il mondo. Un enorme numero di vittime, tra cui centinaia di bambini, e la distruzione di case e città, hanno trasformato la festa della vita nascente nel lutto di tanta desolazione e morte. E dopo un anno, purtroppo, non è certo migliorata la vita della gente di Gaza! Anche quest’anno, allora, prendiamo le stesse armi della preghiera e della comunione per sentirci uniti a chi più soffre e accogliere “la Grazia di Dio, apportatrice di salvezza!” Io stesso mi recherò domenica 20 dicembre nella Parrocchia di Gaza per celebrare il Santo Natale e mi piacerebbe portarvi tutti con me quel giorno… Per questo vi invito a fare anche voi Natale a Gaza, raccogliendovi in questa domenica nella comune supplica al Dio della Pace”. È l’invito che Mons. Fouad Twal, Patriarca Latino di Gerusalemme, aveva rivolto nei giorni scorsi alle chiese del mondo. E noi ci siamo andati.
Adin Steinsaltz è uno dei massimi studiosi del Talmud. Di lui, in Italia, nel 2007, è uscito il libro “Parole Semplici” (UTET). In uno dei suoi capitoli, dal titolo “Bene”, l’autore parla della moralità che ha un senso del sublime e di quella piatta, rasoterra, così simile alla mediocrità. La prima ci ha fatto venire in mente il camminare di Maria, l’agire di Raoul Wallenberg, e l’andare, anche solo col cuore e con la mente, a Gaza. La seconda attecchisce ovunque, vicino, vicinissimo a noi. Persino, dentro di noi. Che Dio ci perdoni. E intanto noi ci congediamo, proponendovi il brano di Steinsaltz come nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Agire come il buon vicino di casa, stando attenti a non calpestare le aiuole e a pagare le tasse è certo una bella cosa, ma che dire di chi sacrifica qualcosa di prezioso per salvare un’altra vita? La moralità che in sé non possieda alcun senso del sublime può essere molto conveniente e “normale”, ma è pericolosamente prossima all’indifferenza totale, alla corruzione della morte. In un antico testo di morale si legge di una disputa: “[Colui che dice] ‘Ciò che è mio è mio e ciò che è tuo è tuo’ è la persona normale; qualcuno la chiama la qualità della città di Sodoma” (Pirqè Avòt, 5, 10). Una forma di moralità piatta e legalistica può anche preludere il vizio estremo. Nel reame del bene, le persone che non hanno un cielo sopra il capo potrebbero scoprire che non dispongono neppure di un suolo sul quale camminare. (Adin Steinsaltz, Parole semplici).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.