Carissimi,
“Gesù, entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano, dicendo loro: Sta scritto: La mia casa sarà casa di preghiera. Voi invece ne avete fatto un covo di ladri” (Lc 19, 45-46). E ora che quel Tempio non c’è più, ma ce n’è sempre un’infinità di altri, cosa ne facciamo noi? Già, cos’è per noi la religione, i suoi simboli, i suoi riti, le sue preghiere? Un mercato al ribasso o al rialzo, poco importa, ma sempre mercato? E del suo tempio che è il mondo, e del Luogo della sua presenza che sono i poveri, o del nostro corpo, cioè, concretamente, della nostra storia, che cosa ne è? A noi, ci fanno abbastanza ridere (o piangere) tutte quelle interpretazioni che fanno di questo passo evangelico il giudizio di condanna pronunciato da Gesù sul Tempio di Gerusalemme. O sul tempio, tout court. È un’interpretazione interessata. Non ci chiama in causa. Gesù non ce l’aveva con il tempio, anzi è indignato per coloro che lo profanano e per questo li caccia. Né ce l’ha con nessuna sinagoga, o chiesa, o moschea, o con qualunque edificio o spazio che veda riuniti dei fedeli a celebrare la loro fede. Ce l’ha con l’uso mercantilistico della religione, o con la sua riduzione a strumento di potere, del potere civile e, più pericoloso ancora, del potere religioso. Ce l’ha con l’utilizzo della religione “contro” l’altro, che pensa, crede, prega, parla, vive, diversamente da noi. Tutto questo fa della dimensione religiosa, qualunque sia la fede che essa esprime, una “spelonca di ladri”, la casa di quanti rapinano agli altri il diritto alla vita. Che è il dono di Dio a tutti. Dio stesso che si dona a tutti.
Il 20 novembre, qui in Brasile, si celebra la Giornata Nazionale della Consapevolezza Negra. Che coincide con la memoria del martirio di Zumbi di Palmares e di tutti coloro che caddero per rivendicare il diritto della popolazione negra (ma non solo) di questo e di ogni altro continente a vivere in libertà una vita che si dispieghi in pienezza, bellezza e abbondanza. Che è poi il progetto del Regno.
Il nostro calendario ci porta anche la memoria di Lev Tolstoj, profeta della nonviolenza.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
1° Libro dei Maccabei, cap. 4, 36-37.52-59; Salmo (1Cr 29, 10-12); Vangelo di Luca, cap. 19,45-48.
La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericordia.
È tutto. Noi ci si congeda qui, lasciandovi a una citazione di Lev Tolstoj, tratta dal suo “Amatevi gli uni gli altri”, che troviamo nella “Home Page degli Amici di Tolstoi” (http://www.gondrano.it/tolstoi/indice.htm). E che è, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Il principio dell’amore deve esser posto a fondamento della vita di tutti e questo principio, infallibilmente senza sforzo, cambierà l’estremo male nel bene supremo. Riporta la tradizione che l’apostolo Giovanni, nei suoi ultimi giorni, era tutto penetrato da un unico sentimento e non cessava di esprimerlo con la stessa frase: “Figliolini miei, amatevi gli uni gli altri”. Così parlava un uomo giunto al limite estremo della vita. Pari sentimenti dovranno manifestarsi nell’umanità giunta ad una maturità più avanzata. È così semplice e chiaro. Tu vivi, cioè nasci, cresci, divieni adulto, invecchi e ti approssimi alla morte. È mai possibile che lo scopo della tua vita possa trovarsi esclusivamente in te stesso? Probabilmente no! Se l’uomo chiede a se stesso: chi sono io?, la risposta è una sola: io sono un essere che ama. In un primo momento mi sembra di poter amare solo me stesso, ma mi basta vivere un certo tempo, riflettere un poco per capire che amare quel me stesso che nella vita è solo di passaggio e che deve morire, non mi è possibile, non ha senso. Sento che io devo amare ed amo me stesso, ma amando me stesso, non posso non avvertire che l’oggetto del mio amore non è degno; eppure non posso non amare – la vita è nell’amore -. Che fare allora? Amare il prossimo, gli amici, coloro che mi amano? Dapprima sembra che questo possa soddisfare il mio bisogno di amare, ma poi mi accorgo che, innanzitutto, queste persone sono imperfette e poi che esse cambiano di continuo e soprattutto muoiono. Che cosa posso amare allora? La risposta è una sola: amare il Tutto, amare la Fonte dell’amore, amare l’Amore, cioè Dio. L’Amore non per noi stessi, non per chi ci ama, ma amore per l’Amore. Basta capirlo e subito scompare tutto il male della vita umana ed il suo significato diviene chiaro e gioioso. (Leone Tolstoj, Amatevi gli uni gli altri).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.