Carissimi,
“Un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. Ed ecco, davanti a lui vi era un uomo malato di idropisìa. Rivolgendosi ai dottori della Legge e ai farisei, Gesù disse: È lecito o no guarire di sabato? Ma essi tacquero. Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò” (Lc 14, 1-4). Confinare Gesù nel suo tempo e fare dei suoi discorsi una semplice espressione delle diatribe che investivano le correnti religiose dell’epoca ci farebbe, tutto sommato, abbastanza comodo. Perché ci porterebbe tutt’al più a dire: com’erano buoni e intelligenti quelli o cattivi e ottusi quegli altri, senza però mettere mai in campo noi stessi, né vederci questionati nelle nostre scelte e nei nostri comportamenti. E, invece, le situazioni e i personaggi evangelici ci sono offerti proprio perché sappiamo di volta in volta riconoscerci in essi e sentirci così confermati nelle notre attitudini o bisognosi di conversione. Il piccolo episodio che ci è stato proposto oggi è ambientato anch’esso in un giorno di sabato, nella casa di un’autorità religiosa, durante il pasto (il testo greco suona letteralmente: a mangiare pane). Sarebbe troppo pensare che Luca abbia in mente la sua (ed ogni altra) comunità, dove la dimensione religiosa, invece di propiziare umiltà vera e solidarietà fraterna, stuzzica ambizioni, favorisce (già allora!) ricerca del potere e arrivismi? A scapito, come sempre succede in questi casi, degli ultimi arrivati, dei più deboli e poveri. Gesù non si sogna di contestare il Sabato, né la legge di Dio. In questo senso Gesù (con il suo significato) non è, come si è preteso interpretare, la fine della Legge, ma si ripropone come il fine di essa, l’intenzione profonda che la sottende, la sua illustrazione più eccellente. Si può guarire la religione dal suo male profondo, dall’orgoglio spirituale, dall’idropico che si nasconde dentro di noi? “Essi tacquero” dice il Vangelo dei farisei e dei dottori della Legge interpellati da Gesù. Ed è logico, come anche noi ce ne stiamo zitti, zitti, per evitare di riconoscere che è nostra l’idropisia che Gesù vuole curare, e di cui noi non vogliamo affatto essere guariti. Lui, però, forse, prenderà ugualmente l’iniziativa. Per nostra buona sorte. E il nostro io comincerà a sgonfiarsi, sgonfiarsi, fino a che si svuoterà completamente.
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Due sono i martiri di cui facciamo memoria oggi: Marcello di Tangeri, obiettore di coscienza, martire della non-violenza, e Santo Dias, martire della giustizia e della solidarietà.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Romani, cap.9, 1-5; Salmo 147; Vangelo di Luca, cap.14, 1-6.
La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.
È tutto per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una citazione di S. Agostino, tratta dal suo “Esposizioni su Salmi”. Dice della passione e delle sofferenze di Cristo, dei martiri, dei poveri che sono la sua Chiesa, e, se osiamo (dobbiamo osare), persino delle nostre. E dice anche di quando l’iniquità sarà scomparsa, e noi saremo con Lui in una sola pace. È, per oggi, il nostro.
PENSIERO DEL GIORNO
Tutti lo uccidete. Nel corpo di un uomo solo ci potrà, dunque, essere tanta ampiezza che gli consenta di essere ucciso da tutti? Ma dobbiamo qui intendere la nostra persona, cioè la persona della Chiesa, la persona del corpo di Cristo. Perché Gesù Cristo, capo e corpo, è un uomo solo: è salvatore del corpo e membra del corpo, due in una sola carne, in un’unica voce e in un’unica sofferenza; e, quando l’iniquità sarà scomparsa, in una sola pace. Perciò le sofferenze di Cristo non sono esclusivamente nel Cristo, o meglio, le sofferenze di Cristo non possono essere se non nel Cristo. Se intendi Cristo come capo e corpo, non vi sono sofferenze al di fuori di Cristo; se, invece, intendi Cristo soltanto come capo, le sofferenze di Cristo non le troviamo esclusivamente nel Cristo. Se infatti le sofferenze fossero nel solo Cristo, o meglio nel solo capo, in qual modo potrebbe uno dei suoi membri, l’apostolo Paolo, dire: Per completare ciò che manca alle tribolazioni di Cristo nella mia carne? Se, dunque, sei uno dei membri di Cristo, o uomo, chiunque tu sia che queste parole ascolti, chiunque tu sia che ora non ascolti (ma devi necessariamente ascoltarle, se sei un membro di Cristo): ebbene, qualunque cosa tu soffra da parte di coloro che non sono nelle membra di Cristo, questo mancava alle sofferenze di Cristo. Per questo si aggiunge, perché mancava. E tu colmi la misura, non la fai traboccare; tanto soffri quanto attraverso le tue sofferenze doveva essere aggiunto alla universale passione di Cristo. Egli soffrì un tempo nella persona del nostro capo e soffre oggi nelle sue membra, cioè in tutti noi. (S. Agostino, Esposizioni sui Salmi).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.