Carissimi,
“Una volta, Gesù stava insegnando in una sinagoga in giorno di sabato. C’era là una donna che uno spirito teneva inferma da diciotto anni; era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta. Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: Donna, sei liberata dalla tua malattia. Impose le mani su di lei e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio” (Lc 13, 10-13). Di sabato, in una sinagoga. Come dire, il tempo e lo spazio delle cose sante. O, anche: la religione. E uno è portato a pensare: almeno lì la persona umana è salvaguardata e Dio, così, glorificato. E, invece, no. O, almeno, non necessariamente. Anche nella religione, in ogni religione (volendo applicare l’interpretazione che, nella sua XXXI Omelia, Gregorio Magno fa dei diciotto anni – tre volte sei – della malattia della donna), prima della Legge (le religioni pagane), durante la Legge (la religione ebraica), e dopo la Legge (il cristianesimo), l’umanità, creata, nel sesto giorno, perfetta, cioè libera e buona nel piano di Dio, si sceglie altrimenti. Piegata su di sé, nega l’altro e si nega a lui. Nega, quindi, la verità più profonda, oltre che di sé, anche della religione. Che agli altri, nell’Altro, ti lega. Celebrando il Sabato (o, per noi, l’Eucaristia), lo bestemmia. E allora Dio, prende l’iniziativa. Stava lì a contemplarsi la bellezza della creazione (il Sabato è questa cosa qui) e vede una donnina malata e allora dice: fermi tutti, voglio scendere. E va a raddrizzare la donnina. Finché lei è storta, che razza di creazione Dio potrebbe celebrare? E, detto per noi, oggi, se stiamo lì a celebrare l’Eucaristia – il dono della vita capace di saziare ogni fame, lenire ogni pena, perdonare ogni peccato – e Dio allunga il suo sguardo sul mondo, cosa può fare d’altro che dirci: ma per favore! Smettetela di prendervi e prendermi in giro. Se cibarvi di me, non vi aiuta a cambiare il mondo, facciamo così: lasciamo perdere! La chiesa, noi cioè, ha questa passione per la perfezione, la salute, la salvezza, del mondo? Se non ce l’ha, siamo noi stessi quella donnina storta, che aspetta di essere liberata. E che ciò avvenga presto. Amen.
“La Chiesa è l’unica società che esiste a vantaggio di quanti non sono suoi membri”. Se, invece, chiosiamo noi, si preoccupa di sé, è la donnina storta del Vangelo. Lo affermava William Temple, primate della Chiesa d’Inghilterra. Che, dall’alto dei cieli, non avrà particolari motivi di rallegrarsi per ciò che succede in questi giorni nella comunione anglicana e neppure nelle altre chiese. Salvo che la vista maggiore di cui si gode ai piani superiori gli permetta di farlo.
Ed è proprio di William Temple, pastore e testimone di ecumenismo, che noi si fa memoria oggi.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Romani, cap.8, 12-17; Salmo 67; Vangelo di Luca, cap.13, 10-17.
La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.
Per chi c’era, qui a Goiás, nel Natale del 1994, il bambino Gesù, nel presepe, era stato una bambina, Ana Clara, nata come un miracolo, due mesi prima, da dona Ana. Che aveva già una certa età e non s’era accorta di portarsela dentro. Quella mattina stava accompagnando la figlia incinta dal medico per i controlli del caso, quando è arrivata lei, Ana Clara, in tutta fretta, senza neppure chiedere permesso, felice della vita. A Natale, “quel” Natale, tra gli altri c’era qui Bebbe (uno di quei comunisti che turbano i sonni del vostro premier), che, da allora, ne è divenuto, per lei che non ce l’aveva, il nonno a distanza. Oggi Beppe è arrivato qui, con la moglie, Maresa, e la nipote Jamila. A festeggiare i quindici anni di Ana Clara. Con parenti e amici e amici degli amici, stasera, su al Centro Comunitário. Auguri, Ana Clara!
È tutto per stasera. Nel congedarci vi proponiamo una citazione di William Temple, tratta dal suo “Thoughts on some Problems of the Day”. Che è per oggi il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
La grande questione della religione ai giorni nostri non sta nelle nostre differenze sulla dottrina sacramentale o nel nostro disaccordo sulla validità dei ministeri; riguarda invece la fede nel Dio vivente. Il primo dovere della Chiesa è di sapere con certezza come presentare la verità di Dio in modo tale da rispondere alle conoscenze e alle necessità di oggi. Che Dio stesso sia nel contempo la Realtà Ultima e il Valore Supremo ne siamo ben sicuri; ma non è sufficente averne noi la certezza. Dobbiamo presentarlo agli uomini, sia nel nostro insegnamento, che nel nostro culto, nelle iniziative in cui investiamo il nostro pensiero, nella scelta delle materie oggetto di dibattito con i nostri compagni-cristiani e nello stesso modo in cui discutiamo, in maniera tale che gli altri possano avere il riscontro di quanto significhi per noi. Dobbiamo fare questo nel nostro insegnamento. (William Temple, Thoughts on some Problems of the Day).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.