Carissimi,
“Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi. Così voi testimoniate e approvate le opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite” (Lc 11, 47-48). Non è suonato subito chiarissimo il passo del Vangelo di oggi che si apre con queste parole, con cui noi ci siamo confrontati stamattina e poi nel pomeriggio, assieme agli amici della chácara di recupero (dove negli ultimi giorni, sono arrivati Mauro, marito di Dominga e padre di Daniela, e Ronimar. E speriamo che durino). Cos’è, ci siamo chiesti, che prova che gli omaggi che tributiamo ai martiri, ai santi, ai profeti di ogni tempo, e, attraverso loro, a Dio stesso, cioè, le tombe, gli altari, i santuari che gli erigiamo, siano dimostrazione di un culto sincero e non invece una riprova, solo apparentemente paradossale, della nostra complicità con quanti, a suo tempo, li hanno rifiutati, perseguitati, uccisi? La risposta sta nella qualità (e, quando è il caso, nella conversione) dei nostri atteggiamenti, nella disposizione all’ascolto e alla pratica di quella Parola che, allora come oggi, è stata rivolta agli uomini per rivelare loro la proposta di Dio. Tirar su quattro pareti, coprirle con un tetto, è relativamente facile. Per i santi anche di più. Soprattutto se si pensa che si possa ricavarne qualche vantaggio. In questa o nell’altra vita. Oggi, con la teologia della prosperità che fa la parte del leone, sempre di più in questa. Così, mettiamoci pure insieme, costruiamo una chiesetta a Sant’Espedito o a san Sebastiano, oppure se siamo neo-pentecostali, una Casa da Benção, o una Catedral da Graça. Ma non chiedeteci di cambiare troppo il nostro stile di vita. A noi, va bene così. Via, intendiamoci con qualche accessorio in più: una bella casa, una moglie avvenente, una professione ben retribuita, una macchina potente. Anzi, perché non due, o tre. E se l’otteniamo, andremo pure a dare la nostra bella testimonianza in chiesa. Beh, vista così, Gesù ha buon gioco a dire che siamo fatti della stessa pasta dei nostri padri, intendendo quelli che hanno a suo tempo fatto fuori i profeti. Perché noi stessi stiamo massacrando la sua Parola, il suo Vangelo. E continuiamo a nascondere la chiave della conoscenza di Dio, impedendo agli altri di entrare nello spazio della sua intimità (v.52) e così conoscerlo per come è davvero. Dottori improvvisati e abusivi della Sua legge. Quanto a questo, dunque, tutto vero. C’è, però, nel testo di oggi, anche una bugia. Grande come una casa. Dove Gesù dice che alla sua generazione (ma anche ad ogni altra, in realtà, perché ogni generazione è sua contemporanea), sarà chiesto conto del sangue di tutti i profeti, versato fin dalla creazione del mondo (v.50). Solo che poi arriva là sulla croce, e immancabilmente dice: Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno. E chi ne sopporta le conseguenze è solo Lui. E i povericristi crocifissi con Lui. Noi, sarebbe ora di vergognarcene un po’.
Oggi, il calendario ci porta la memoria di Teresa d’Avila, contemplativa e dottore della Chiesa.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Romani, cap.3, 21-30; Salmo 130; Vangelo di Luca, cap.11, 47-54.
La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali dei popoli indigeni.
Il “Castello interiore” è, dicono i conoscitori, l’opera più matura degli scritti di Teresa d’Avila. Ricorrendo all’allegoria del viaggio attraverso le diverse stanze del castello, descrive l’itinerario che l’anima compie dentro di sé alla ricerca dell’unione perfetta con Dio. È un viaggio che ci(vi) auguriamo di compiere tutti. Nel frattempo, anche perché è giunta l’ora di congedarci, di quello sperimentato e così bene descritto da lei, vi proponiamo, qui di seguito, un brano come nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Di amare Dio non possiamo averne certezza, anche se vi sono numerosi indizi per sapere che l’amiamo, ma dell’amore del prossimo, sì. Siate certi che, quanto più progredirete nell’amore del prossimo, tanto più starete avanzando nell’amore di Dio; perché l’amore di Dio per noi è così grande che, in cambio di quello che abbiamo per il prossimo, Egli farà crescere quello che abbiamo per lui in mille modi diversi. Di ciò non c’è dubbio. È importante osservare con grande attenzione come ci comportiamo, perché, se amiamo con perfezione, avremo fatto tutto ciò che dovevamo. Io credo però che, per la miseria della nostra natura, non arriveremo mai ad avere un perfetto amore del prossimo, se esso non nascerà dalla radice dell’amor di Dio. Ora, dato che tutto questo è così importante per noi, cerchiamo di capire come stiamo procedendo su questo punto, soprattutto nelle piccole cose, senza far caso a quelle grandiose che a volte ci vengono alla mente durante la preghiera, e che giureremmo di essere pronti a compiere per amor del nostro prossimo o anche per la salvezza di un’anima sola. In assenza di opere che vi corrispondano, non c’è da credere che arriveremo mai a tradurle in pratica. Dico questo anche in relazione all’umiltà e a tutte le altre virtù. Sono grandi i tranelli del demonio che, per farci credere di averne qualcuna che non abbiamo, è capace di farsi mille giri all’inferno. E con ragione, perché farà molto danno. Queste false virtù, infatti, non si manifestano mai senza una qualche forma di vanagloria, poiché è proprio da tale radice che provengono; come, al contrario, quelle che Dio dà, sono libere da questa e della superbia. (Teresa d’Avila, Castelo Interior, Moradas Quintas, Cap. III, 8-9).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.