Carissimi,
“Giovanni prese la parola dicendo: Maestro, abbiamo visto un tale che scacciava demoni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non è con noi tra i tuoi seguaci. Ma Gesù gli rispose: Non glielo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi” (Lc 9, 49-50). Questo episodio, così come la discussione sorta tra i discepoli su chi sia il più grande (vv. 46-48), sono stati oggetto del racconto di Marco che la liturgia ci ha proposto nelle due ultime domeniche. Entrambi mettono il dito sulla piaga dell’ambizione e quella dell’intolleranza che affiorano già nella comunità delle origini. Essere i primi, i migliori, e perciò, anche, avere l’esclusiva della rappresentanza del bene e del progetto di salvezza per l’umanità fa tutt’uno. E il povero Gesù si ritrova da due millenni a fare i conti, sconsolato, con l’ottusità della maggioranza dei suoi. Chi fa il bene, sia che si disponga ad accogliere, sostenere gli ultimi e i più piccoli del consesso umano, sia che si dia da fare per allontanare da esso i demoni dell’ingiustizia, dell’odio, della guerra, dello sfruttamento, della miseria, se lo fa nel “suo” nome, cioè in nome del principio della cura, anche senza conoscerlo o menzionarlo con il nome di Gesù, solo per questo fatto deve essere considerato dei “nostri”, cioè dei “suoi”. Piú chiaro di così si muore. Eppure la sua chiesa, santa e zuccona, non ha mai smesso da allora di proclamare questo suo Vangelo (e ringraziamone Dio), e di scomunicare quanti non seguissero i suoi propri dettami o si mettessero in qualche modo in competizione con essa (e chiediamogliene perdono).
Il nostro calendario ecumenico ci porta la memoria di un martire dei nostri tempi: il Pastore Mohammad Bagher Yusefi, delle Assemblee di Dio dell’Iran.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Zaccaria, cap.8, 1-8; Salmo 102; Vangelo di Luca, cap.9, 46-50.
La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.
PENSIERO DEL GIORNO
Papa Giovanni, in una sua nota, che è stata anche stampata, ha detto: “Stavolta ho fatto il ritiro sulle sette lampade della santificazione”. Sette virtù, voleva dire e cioè fede, speranza, carità, prudenza, giustizia, fortezza, temperanza. Chissà se lo Spirito Santo aiuta il povero Papa oggi ad illustrare almeno una di queste lampade, la prima: la fede. Qui, a Roma, c’è stato un poeta, Trilussa, il quale ha cercato anche lui di parlare della fede. In una certa sua poesia, ha detto: “Quella vecchietta ceca, che incontrai / la sera che mi spersi in mezzo ar bosco, / me disse: – se la strada nun la sai / te ciaccompagno io, che la conosco. / Se ciai la forza de venimme appresso / de tanto in tanto te darò na voce, / fino là in fonno, dove c’è un cipresso, / fino là in cima, dove c’è una croce. / Io risposi: Sarà… ma trovo strano / che me possa guidà chi nun ce vede… / La ceca, allora, me pijò la mano / e sospirò: – Cammina -. Era la fede”. Come poesia, graziosa; come teologia, difettosa. Difettosa perché quando si tratta di fede, il grande regista è Dio, perché Gesù ha detto: nessuno viene a me se il Padre mio non lo attira. S. Paolo non aveva la fede, anzi perseguitava i fedeli. Dio lo aspetta sulla strada di Damasco: “Paolo – gli dice – non sognarti neanche di impennarti, di tirar calci, come un cavallo imbizzarrito. Io sono quel Gesù che tu perseguiti. Ho disegni su di te. Bisogna che tu cambi!”. Si è arreso, Paolo; ha cambiato, capovolgendo la propria vita. Dopo alcuni anni scriverà ai Filippesi: “Quella volta, sulla strada di Damasco, Dio mi ha ghermito; da allora io non faccio altro che correre dietro a Lui, per vedere se anche io sarò capace di ghermirlo, imitandolo, amandolo sempre più”. Ecco che cosa è la fede: arrendersi a Dio, ma trasformando la propria vita. (Giovanni Paolo I, Vivere la fede, Udienza Generale 13 Settembre 1978)
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.