Carissimi,
“Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte? E Gesù gli rispose: Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette” (Mt 18, 21-22). Cioè, non c’è limite al perdono. Negarci ad esso, al perdono dato e ricevuto, è semplicemente negare Dio, il suo Regno, e, perciò, generare infelicità e, più ancora, come sottolineava stamattiva Valdecí, condannare noi stessi all’infelicità. La nostra amica Marisa, che è in questi giorni pellegrina nella Terra del Santo, ci scriveva giusto ieri un po’ allusivamente del cumulo di sofferenze, di incomprensioni, diffidenza, risentimenti, odio, in cui ci si imbatte laggiù. Sono forse proprio questi gli “aguzzini” della parabola a cui noi spontaneamente scegliamo di consegnarci fino a quando non avremo saldato “tutto il debito” (Mt 18, 34). Che è, appunto, il nostro perdono. Noi, a lei, abbiamo risposto così: “Dunque sei già laggiù (o lassù), a lasciarti contagiare dai tormenti degli uni e degli altri, com’è del resto giusto, se ti porti dentro Lui. Perché Lui è solo questo infinito lasciarsi contagiare dal male degli uomini suoi figli. E se noi solo arrivassimo a capire la miliardesima della miliardesima della miliardesima particola della sua realtà, passeremmo la vita a chiedergli perdono e a perdonare. E il mondo comincerebbe a essere un pochino diverso”. Almeno, a noi sembra così.
Il calendario ci segnala oggi le memorie di Nersēs Šnorhali, monaco e Katholicos degli armeni; Simon Pecke, missionario africano; e Yunus Emré, mistico islamico.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Giosuè, cap.3, 7-10a. 11. 13-17; Salmo 114; Vangelo di Matteo, cap.18, 21-19,1.
La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.
Ci congediamo qui. Con una poesia di Yunus Emré, che troviamo nel libriccino “Salmi Sufi. Canti della Spiritualità musulmana” (Icone Edizioni). E che è, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
O Amico, / nell’oceano del Tuo amore / voglio tuffarmi, / annegare lì / e dimenticare il resto. // Voglio fare / dei due mondi un luogo di transito / per attraversarlo, / gioirne, / e dimenticare il resto. // Voglio gettarmi / nell’Oceano, / e lì affogare, / perdere ogni identità / e dimenticare il resto. // Voglio essere usignolo / nel giardino dell’Amico, / conquistare le rose / e dimenticare il resto. // Voglio essere usignolo e cantare, / guadagnare i cuori, / scommettere la vita e perderla; / voglio privarmi della testa, / tenerla tra le mani, / offrirla al Tuo passaggio / e dimenticare il resto. // Ti siano rese grazie, Signore, / perché ho visto il Tuo volto, / ho bevuto alla coppa della Tua unione, / e adesso posso disperdere / ai quattro venti / il miraggio delle piccole cose / che riteniamo nostre / e dimenticare il resto. // Yunus è pazzo d’amore per Te, Signore, / il più umile degli incurabili… / Il mio unico rimedio è in Te: / voglio chiedertelo e chiedertelo ancora / e dimenticare il resto. // (Yunus Emré, Nell’oceano del Tuo amore).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.