Carissimi,
“Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi” (Mt 10, 17-20). Il contesto, secondo l’ammonimento con cui Gesù aveva aperto il discorso, è quello della missione “dentro” casa: “Non andate per la via dei pagani e non entrate nella città dei samaritani. Andate piuttosto alle pecore perdute della casa di Israele” (Mt 10, 5-6). Oggi diremmo: “Cristianità, paese di missione”. Le incomprensioni, le intollerenze, le lotte, le persecuzioni a cui ci si riferisce in questo brano di Vangelo, nascono dentro casa (v.21) e dentro chiesa (v.17). A partire dalle alleanze politiche che lì e qui con il Potere si vanno stipulando e dalle compromissioni e protezioni che ne nascono. Dove, in gioco, non è ovviamente la libertà dell’insegnamento e della pratica religiosa o dell’organizzazione ecclesiastica, che, figurarsi!, un governo sufficientemente accorto si disporrà sempre non solo a tollerarla, ma la garantirà, la tutelerà, se ne farà carico e la finanzierà. Tanto la ritiene importante per la sua stabilità. In gioco c’è, invece, quando c’è, la “causa del suo nome” (v.22). Che si attira l’odio anche e soprattutto di cristianissimi governi e di cristianissimi ceti. Perché è la testimonianza del Suo nome che introduce nelle relazioni umane una logica diversa. Che non è più quella del potere, del prestigio, dell’autoaffermazione, del guadagno. Ma quella della croce. Cioè, della solidarietà verso gli ultimi, portata all’estreme conseguenze, fino alla perdizione di sé. E questo, ove essa cominci davvero ad affermarsi, è davvero pericolosa e destabilizzante. Dov’è la buona notizia?, ci si chiedeva stamattina. Non ce n’è solo una, ce ne sono almeno due. La prima, che riguarda ciascuno(a) di noi è che “chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato” (v.22). Il che è molto di più che essersi guadagnati il paradiso (anche se, a dire il vero, Lui se lo annoti per benino, ci guarderemmo bene dal rifiutarlo): è vivere la vita di Cristo. È Cristo che vive in noi. E non si ha bisogno di altro. La seconda riguarda più in generale la storia: “Non avrete finito di percorrere le città d’Israele, prima che venga il Figlio dell’uomo” (v.23). Di tale venuta, dell’emergere del significato del Nome (il Principio della Cura) nel concreto relazionamento tra individui, classi, popoli e nazioni, noi siamo nel contempo causa, speranza e attesa.
Oggi facciamo memoria di Cirillo d’Alessandria, pastore e padre della Chiesa, e dei 51 Martiri ebrei di Berlino.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro della Genesi, cap.46, 1-7. 28-30; Salmo 37; Vangelo di Matteo, cap.10, 16-23.
La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica, che professano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.
L’altro ieri sera eravamo andati a casa di dona Apolónia a fare una preghiera breve, che lei aveva accompagnato seduta sul letto, col respiro faticoso cui ci aveva abituati negli ultimi anni. Voleva essere un gesto di amicizia. È stato un commiato. Oggi Lui è venuto a prendersela. Lei gli deve aver detto in tono di rimprovero: quanto ti sei fatto aspettare! Però per noi.
Per stasera è tutto. Noi ci congediamo, offrendovi in lettura un brano del “Commento sul Profeta Isaia” del papa Cirillo d’Alessandria. È, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
“Il Signore mi ha dato una lingua da iniziati” (Is 50, 4), perché io sappia quando devo parlare. Non contrasta, ma anzi va pienamente d’accordo con un’esatta esposizione il fatto di applicare queste parole del profeta Isaia allo stuolo dei santi apostoli e anche a tutti coloro che credono in Cristo e sono istruiti nella dottrina spirituale, per cui hanno la mente e l’anima largamente illuminate. Possiamo applicare la frase d’Isaia anche a coloro che sono stati resi partecipi dei divini carismi e degni di contemplare con i puri occhi dell’anima le profondità della Scrittura divinamente ispirata. Infine, includerò tra i santi quelli che hanno seguito la morale evangelica, la prudenza e la scienza. Costoro, dunque, cantano inni di ringraziamento e proclamano che a loro e stata concessa una lingua da iniziati, ossia una lingua capace di parlare con cognizione di causa dei misteri divini e di spiegarli senza errore; essi sono perciò in grado di capire quando e come è opportuno servirsi di parole di consolazione. È quello che fecero i discepoli del Signore, quando riempirono e ricolmarono gli animi e i cuori con la sana immacolata dottrina della fede cristiana; essi presentarono ogni ascoltatore della divina predicazione l’uno o l’altro discorso, secondo quanto conveniva a ciascuno. Questa fu dunque la lingua da iniziati e il dono della scienza per sapere quando conviene parlare: ed essi dicono che è stata data loro all’alba, ossia è sorto nel loro cuore lo splendore del giorno, il fulgore della luce divina e intelligibile, la stella del mattino. Comprenderemo meglio ciò con le parole del beato Paolo che scrive: “Ringraziamo con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce: e lui infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto” (Col 1, 12-13). (Cirillo d’Alessandria, Commento sul Profeta Isaia).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.